Gio Ferri

Breve osservazione sulla natura della ‘energia’ poetica
nell’opera di Edoardo Cacciatore


Decisamente e colpevolmente trascurato dalla critica del secondo Novecento (come si è già ampiamente deprecato), si possono consultare non molti testi che dicano di lui. Considerata questa situazione si ritiene utile nominarne alcuni (i più recenti) anche qui di seguito. Si riprende con qualche modifica l’articolo mio che fu pubblicato dalla rivista “il verri” (n.12, anno 2000). Per le poesie e il romanzo si veda l’opera omnia (Tutte le poesie e Itto Itto) pubblicata fra il 1994 e il 2003 da Manni Editore (Lecce); Il discorso a meraviglia con il saggio introduttivo di Giulio Ferroni (Einaudi, Torino 1996). Per tornare più indietro si legga, fortemente anticipatore, Immagini e maniere di Alfredo Giuliani (Feltrinelli, Milano 1965). Utilissimo il ragionato repertorio bibliografico di Andrea Cortellessa, In favore di un testo onnìvago, enèrgetico e trànsile, in il verri, n. 4-5 1997.
Guliani già notava l’eccezionale e, nel Novecento, mai così estremo impulso ritmico. La straordinariamente innovativa scrittura di Cacciatore rivela una biologica e insieme razionalmente ossessiva modalità. Superando le stesse tradizionali istituzioni linguistico-retoriche, la metrica e la rima divengono gli ingranaggi fisiologici di una macchina celibe, produttrice energetica di (in)sensati sensi, nell’incessante fluire del colloquio fra evenienze vitali caricate di un’unica finalizzazione immaginabile: l’oggettività della morte, quale residuo essenziale della vita medesima, intesa come pensiero:
Pensare vuol dire, passo passo, cogitamente, con misura esatta, squassare quella visionaria luminescenza che proviene dalle Piuccheperfette Stanze della nostra elaboratività frenica: in funzione veicolaria, ormai, per essersi smagnetizzata dalla passivazione della realtà. E dopo essersi ritorta, concentratamente a risucchio desortivo, sulla seriale sediziosità dell’Energia, ecco che viene trainata perciò alle volte nel suo transito battito battito. Ad ogni battito, intanto, va rispondendo forzosamente uno scrollo della realtà cadescente che ne risulterà eccessivo surplus: affardellandosi fino all’infarto dove si segnerà infatti la sua scadenza via via nella concia dell’Alterazione.
Questa breve citazione giustifica l’osservazione in merito alla poetica di Cacciatore come rapporto fra la nullità della storia e la nullità della poesia, tema che ho sviluppato in Le regioni del nulla-Vita, poesia, nichilismo (cfr. “Fondamenta Nuove”, n. 3/2005). Bastino la passivazione della realtà, la seriale sediziosità, la realtà cadescente, la scadenza nell’infarto, vale a dire fino alla necrosi dell’essere nel tempo finito. In quanto al pensare, si tratta quindi di una lenta progressione respiratorio-diaframmatica, d’aprire e insieme contenere con esattezza ritmica. La visionarietà (orfica, secondo l’originale lettura di Giuliani) dell’immaginazione è risucchiata dalla turbina produttrice di energia: rivitalizzazione (nella poesia, nel segno – apparentemente – gratuito) della realtà caduca, avanzo entropico (dopo l’esaurimento della storia), transito fra i campi d’energia, scadenza (morte e metamorfosi) per oggettualizzare alterazione e alterità. È un discorso fisiologico, macchinistico-concettuale (sistema di una macchina mentale e sensitiva) di tipo duchampiano: La Mariée mise à nu par ses célibataires, même. Una poesia di Cacciatore s’intitola Pensare è adorabile coito d’amore.
Ferroni, nell’introduzione citata, metteva a confronto un Cacciatore barocco e un Cacciatore manierista. Sintetizzando, Ferroni nota che barocca in Cacciatore è la meraviglia dell’operazione poetica entro il linguaggio; barocco è il procedimento per accumulazione e proliferazione infinita; barocca è la trasmutazione metaforica (io direi metamorfica); barocco è il lavoro metrico negli artifici ritmici e strutturali. Tuttavia, di contro, aggiungeva Ferroni, certamente manieristica è la torsione interna del suo artificio; manieristici sono l’ossessivo spigoloso “orizzonte intellettuale che sembra comprimere e forzare il proliferante materiale accumulato da una parola inesauribile”. Cosicché, in Cacciatore, la meraviglia “è una sorta di illuminazione totale della realtà e dell’esperienza” insita nella parola poetica medesima, nel suo sistema articolatissimo e macchinoso (aggiungerei nel leggero, gassoso senso duchampiano, non propriamente nel senso teatrale, plateale, manieristico appunto, di Camillo e del suo Teatro della memoria richiamato, correttamente per certi aspetti, dallo stesso Ferroni).
Allora mi parrebbe interessante considerare la poesia di Cacciatore piuttosto che manieristico-barocca, sotto un aspetto più ‘moderno’, barocco- illuministica. Il poeta e teorico guardava, in una visione atomistica, e enciclopedico-ordinativa a Giordano Bruno e a Rousseau: Noi non siamo altro che parzialmente questo imparziale nubifragio di atomi. Rimandando al mio intervento su “il verri” citato riprenderei il senso generale de “i sogni della ragione” e “lo stile della volontà” di Starobinski (La scoperta della libertà, Skira-Fabbri, Milano 1965): “contrariamente all’eloquenza barocca, l’effetto ricercato non è più (‘semplicemente’ direi per Cacciatore) quello del movimento e della profusione, ma quello di una forza elementare il cui l’energia si costringe ad assumere un’apparenza statica. Siamo in presenza d’una volontà che ha scelto di manifestarsi nella sua nudità... Dopo viene lo scontro senza fine della volontà e dell’infinito, l’ingiunzione del superamento, il divenire dove si muove il nostro destino”. Il destino del poiéin volontario, contro il destino impostoci dalla Storia.
Tutto ciò comporta che non si tratti di un semplice problema metricoformale (quello sì manieristico) bensì di una costante sequela di rivelazioni e anche di esplosioni nella sommossa stabilità di un sistema o modello mentale. Di pensiero. Il pensiero dominante ne “Il traguardo della corsa”:
Corre corre il sangue ma in noi un’altra gara / L’intimità già esterna in storia si stanzia / Controluce la tua mano innocente impara / A macchiare di sangue adulto anche l’infanzia / Mostri e portenti appartengono al fittizio / La sete di sangue soltanto il corpo può berla / Ma tra mano e fronte poggiata un interstizio / S’illumina realmente e concreta in madreperla / Dico a te non credere a chissà quale inganno / L’urto del sangue alla mente al sesso ristagna / L’altra gara che sciama di danno in danno / La terra e il mare che brucia all’aria guadagna // E la cagna che ora ad incitarsi si è morsa / Di sangue non bagna il traguardo della corsa.
L’incipit maiuscolo di ciascun verso (d’uso nella poesia del passato) rivela, salvo un paio di enjambement, l’autonomia di senso di ogni verso (atomismo). Formule, lapidarietà profetiche e gnomiche pur sempre aperte: dimostrazioni per assurdo. Sequela paratattica di universi verbali. Fluire sanguigno e improvvise emostasi, entro una vita protesa al traguardo della morte, ma in una corsa dove sempre tutto finisce e sempre tutto ricomincia. Ambiguità ossessive, di senso in senso, di sensitività in sensitività. Tutto è inganno, quindi, ma non c’è da crederci: l’inganno della vita (biologica e non storica) è di per sé l’unica verità. La cagna libera, autodistruttiva e discreta poiché morde senza lasciare tracce di sangue: universale oblio delle storiche tragedie.
Cacciatore esalta il valore energetico del segno, ma prende atto della crisi entropica: il resto di una energia consumata che tuttavia si può ancora riciclare. Ma la nostra energia, di questo mondo, oggi e domani, diverrà un architettonico cumulo di avanzi. La Storia in un cumulo di avanzi: già altrove si è parlato di un’estetica dell’avanzo.