Maria Jatosti

Memoria

Era un pomeriggio romano, dolcissimo, di settembre dell’89, quando varcai per la prima volta il portoncino di largo Cristina di Svezia, all’Orto botanico, con quella trepidazione travestita da improntitudine che sempre, ancora oggi, mi fa affrontare situazioni difficili, comunque importanti. Ero andata da Edoardo Cacciatore a chiedergli un testo da pubblicare nei fogli mensili di Poesia in piego che allora curavo insieme a Francesco Paolo Memmo e Achille Serrao. Per me, della razza e della generazione di coloro che hanno adorato e sperperato i poeti, era causa di profonda emozione trovarmi a tu per tu con quello che consideravo uno degli autori più importanti e più misteriosi del secolo. Mi martellavano nella mente e nel cuore dei versi che in anni molto più giovani e vulnerabili mi avevano folgorato e che parlavano di città e di morte.

Cacciatore mi ammise nella sua casa-guscio con la proverbiale ritrosia di cui sapevo per leggende e racconti. Scontroso e altero me lo figuravo: un hidalgo, un cavaliere siciliano d’antan, problematico e corazzato nella sua orgogliosa segretezza, ma, con lo scorrere dei minuti, fui smentita e sedotta dalla sua totale, quasi fanciullesca disponibilità. Edoardo mi ascoltava attento, incuriosito, continuando a scrutarmi con gli occhi stretti. La casa-guscio mi avvolgeva, gli uccelli sfrecciavano a bordate oblique dal fitto dell’Orto, l’amatissima Vera appariva e scompariva, proiettando la sua grande ombra consistente, e io mi lasciai intrappolare da una fascinazione
infinita. Parlammo di letteratura, di poesia -perfino della mia, che aveva avuto modo di apprezzare, mi disse generosamente, durante una lettura comune in una cantina romana, non lontana dalla sua casa-. Ma parlammo anche di alberi e di uccelli, di musica, di quadri e d’altro.

Quando me ne andai, scendeva il buio. Avevo con me il suo testo: - Carme momentaneo, quel 25 luglio 1943... - che oggi ritrovo nell’opera curata da Giorgio Patrizi, prima sezione, capitolo Exemplum / C, pagina 68, edizioni Piero Manni. Ed è stata proprio questa raccolta di tutte le poesie di Edoardo Cacciatore l’occasione per realizzare un proposito che mi frullava da tempo nella testa: onorare degnamente uno dei poeti più trascurati e rimossi nel panorama classico ufficiale delle nostre lettere. È dunque dall’importante e meritorio lavoro di Patrizi che ha preso corpo in me l’idea di un convegno, o meglio di una giornata di studi da dedicare a questo autore infinito, di pensiero, di non intaccato rigore, di questo poeta dalla sperimentazione linguistica continua e costante, dalle metriche sofisticate e ancora, come sottolinea Francesco Muzzioli nel suo intervento, qui contenuto fra gli altri, non sufficientemente studiate.

Insomma, non si trattava soltanto del desiderio -dell’esigenza- personale di immergersi compiutamente nell’avventura irta e spericolata della scrittura enigmatica di Cacciatore, che tanto mi aveva sempre incantato, ma soprattutto del proposito concreto di offrire un doveroso contributo alla conoscenza dell’autore e del suo meraviglioso universo.

Forte dell’apporto sapiente, acuto, e in molti casi appassionato di critici, linguisti, poeti, studiosi -da Pedullà a Giuliani, da Ferroni a Muzzioli, da Lunetta a Patrizi, da Carlino a Di Stasi fino alla giovanissima Fusco- i quali hanno indagato, attraverso l’opera di un’intera vita, il pensiero, il linguaggio, la metrica, l’estetica, infine la complessa vicenda letteraria dell’autore scomparso a Roma nel settembre del ‘96, l’iniziativa, il Convegno su Edoardo Cacciatore, giunse faticosamente in porto a fine marzo 2004, in una di quelle giornate di pioggia torrenziale non estranee alla primavera romana, al riparo dei prestigiosi ambienti della Casa delle Letterature messi a disposizione dall’Assessorato alle politiche culturali del Comune di Roma.

Dipanandosi tra relazioni, testimonianze, curiosi spunti biografici, commossi ricordi personali, qualche nota stizzosa, ampie letture dei testi da parte delle attrici Adezio e Gatto, e interventi dal folto e qualificato pubblico (erano presenti fra gli altri Elio Pagliarani, Angelo Guglielmi, Mario Verdone e tantissimi poeti), la giornata si concluse con l’auspicio e la promessa di non restare un episodio isolato.

Un impegno che ora si concretizza nella venuta alla luce, per merito degli amici di “Testuale” e grazie soprattutto all’ineffabile Gio Ferri, degli atti del Convegno romano, i uali senza dubbio rappresentano, e vogliono essere, principalmente, uno strumento di studio e di approccio alla discussione, ma anche uno stimolo alla promozione attiva di iniziative (come quella sollecitata non senza una viva punta polemica dallo stesso Giuliani nel corso del suo intervento e che riguarda la raccolta e la pubblicazione di testi
sparsi dell’autore, sia poetici che saggistici), incontri e quant’altro possa far uscire definitivamente dalla nicchia aristocratica di un interesse generazionale e “di parte”, un poeta così peculiare e rilevante, scongiurando il pericolo, tutt’altro che impossibile dalle nostre parti, della caduta nel dimenticatoio. Un impegno che ci assumiamo interamente e che contiamo di onorare, lucidamente consapevoli delle difficoltà e della colpevole indifferenza che di solito incontrano imprese del genere nel nostro paese.