Dobriša Cesarić

(Slavonska Požega, 1902 – Zagabria, 1980)

 

 

NUBE  (Oblak)

Verso sera, all’improvviso,
Inosservata si direbbe,
Sola sovrastando la città,
Apparve una nube.

Il vento in alto la cullò,
Essa divenne tutt’accesa.
Però lo sguardo della gente,
Fu fisso sulle cose in terra.

Ciascuno bramò qualche meta:
Il pane, il potere o l’oro,
Ma la nube – stillando beltà –
Seguiva il proprio cielo.

E navigava sempre più su,
Quasi a Dio salir volesse,
Il vento in alto la cullò,
Il vento in alto la disperse.

 

FERROVIA  (Željeznicom)

Palo del telegrafo, palo del telegrafo,
Campagna ghiacciata,
Sguardo sazio e ottuso,
Vita svogliata.

Si susseguono paesi e fermate,
Ma la tristezza, la tristezza dura.
La porto di stazione in stazione,
La porto di frontiera in frontiera.

Mi sento una ruota di vagone,
Da una Forza avanti portata
E sospinta,
Ma che in eterno, attorno all’asse,
Gira, gira.

 

MATTINO D'AUTUNNO   (Jesenje jutro)

Mi vestìi.
Mi accostai alla finestra,
Vidi fuori: l’autunno.
Entra l’amico col mantello bagnato
E tutta la stanza profuma di pioggia.
Non dice nemmeno: ciao!
Si accomoda.
Esaltato
Pronuncia: «L’autunno».

Fu così fresca quella parola
Quasi un’arancia sul ramo
Dopo la pioggia.

(LIRICA, 1931)

 

BALLATA DEL SOBBORGO   (Balada iz predgradja)

…E versa all’angolo un fanale
Luce rossastra e gialla
Sul fango denso presso un vecchio recinto
E qualche mattone per strada.

È povera la gente che entra
In quella luce dal buio,
Con i soliti pensieri sul viso,
E in fretta l’attraversa.

Però una sera qualcuno non c’è,
E doveva passare;
Il fanale arde,
Arde nella nebbia,
Ed è notte già.

Non c’è domani, né dopodomani,
Dicono che malato giace,
Non c’è per un mese, per due mesi,
Ed è inverno,
E nevica…

Passa la gente come finora,
Già maggio odora –
Solo lui non c’è, non c’è, non c’è,
Più non ci sarà.

E versa all’angolo un fanale
Luce rossastra e gialla
Sul fango presso un vecchio recinto
E qualche mattone per strada.

(VERSI SCELTI, 1942)

I NORI SULLA TORRE DELL'OROLOGIO A VENEZIA

(Crnci na mletačkom Torre dell’Orologio)

 

Da secoli stanno su quella torre,
Tenendo la mazza con due mani.
Immoti, mentre la folla si muove
E dal porto richiamano le navi.

A volte solo li desta il Tempo.
Si spostano, danno colpi al bronzo,
Impassibile e freddo: servendo
il tempo con uguale temperanza.

Roventi di sole, bagnati di pioggia,
Con lo stesso zelo batton le ore.
Quando al buio dorme ogni cosa,
Vegliano soli sulla loro torre.

Da secoli su quella torre stanno
Con la mazza i mori galeotti.
Cento volte sono i vivi superati
Dai morti ch’udirono quei rintocchi.

(POESIE, 1951)

IVAN PARLA   (Ivan govori)

In quell’erba, sul prato,
Giacqui tante ore,
Bocconi, spensierato,
Con uno stelo tra i denti.

O mi stendevo supino
Seguendo nuvole in volo.
Per entrare, ad occhi chiusi,
Poi nel mio mondo.

Al vento oscillavano erbe,
S’udivano ronzare bombi,
Cavallette saltavano vive:
E noi eravamo in molti.

Sul capo splendeva il cielo,
Ai piedi stava al sole la città.
In quell’erba, sul prato,
Mi rimase la verde età.

(POESIE SCELTE, 1960)