Le Energie del Testo - Adam Vaccaro

 

Adam Vaccaro, poeta e critico, viene da una partecipazione attiva (éngagement, come si diceva, sindacalismo e letteratura) nei confronti del rapporto fra cultura e società. Viene cioè dalla Storia. Era ed è coinvolto - non certo travolto - nella nullità della Storia. Percorre quel deserto di tensioni e intenzioni che la Storia tuttavia sempre tradisce. Come molti di noi è l’erede giustamente ma forse inutilmente insoddisfatto di un tradimento. Si legga Riflusso (1977):

Meccanicamente vai ripetendo / come un trabiccolo rotto / addio sogni addio balzi // addio chimere // pericolose, peripezie da favola: / miti scheletriti nella palude secca / del riflusso, lontana secoli / dall’onda che ieri / cantava l’assalto // al sistema. // I tuoi calcoli intellettuali / sono scoppiati / nell’impertubabile oscilloscopio / della realtà / e cadendo sempre / i tuoi urli e i tuoi silenzi / sulle linee tracciate dai quadranti / proclami l’infante
tua debolezza / di fronte all’oscuro // movimento delle cose. // Tu col sole bianco nel cuore / dell’età in salita / quando l’aria si fa scura.

Sovente nemmeno bastano le bellezze della scrittura e le loro verità. Eppure c’è un occhio che guarda, sebbene, si teme, vanamente in quanto nulla trapassa la crudezza della nullità contingente. Tuttavia le parole si disegnano sulla pagina in forma di poesia... paratassi... pause... rime... ritmi... fughe grafiche... allusioni... ambiguità.... C’è un filo rosso del pensiero, ma non una prammatica consequenzialità. Si punta comunque alla comunione sensitiva del disagio, attraverso un processo materico, concreto.

Il saldo della storia personale e collettiva si nullifica: ma c’è pure ancora e sempre un confine da attraversare per chi viene da una regione - poesia come perpetua migrazione - e aspira all’oltre, comunque, confidando che la manipolazione non incomba ancora e la trasformazione si rimisuri di spazio in spazio, oltre ogni tempo, passato o presente.

Che è lo spazio della memoria, di un ritorno concettuale e attuale (almeno per la parola) alla purezza di una vita originaria, perché antica senza infingimenti. I miti di un tempo perduto e di un presente (illusoriamente?) ricreante, almeno attraverso la poesia. Ne dà prova, biograficamente e in relazione a talune sue composizioni (espresse fra lingua e dialetto), l’origine molisana. E, a Bonefro nel Molise, paese natale, l’attivo impegno, anche giornalistico, per una globalità etica e linguistica fra le “mille identità” dei valori collettivi e generazionali autoctoni.

Per una più approfondita analisi di questa condizione si può rimandare, in particolare, alla mia postfazione al volume La casa sospesa (Novi Ligure, 2000). Tuttavia in breve e, qui, assai approssimativamente, si può dire di una perpetua contrapposizione fra le esigenze di un significato (decisamente etico, piuttosto che politicamente ideologico) e le ragioni, inderogabili in poesia – affinché di poesia si possa parlare - della forma.

Il sonetto L’ereditiera (generosamente dedicato al sottoscritto) di questa raccolta appare, fra le altre, la spia di una resistenza nella contrapposizione fra gli incerti significati di un progetto di senso. Chiarezza e ambiguità, ricerca di un riscatto, di una possibile adiacenza (è un suo insistito lemma teorico) fra le ragioni di una verità contingente – tutta da provarsi – e quelle di una parola ricreatrice. Cosicché sembra che infine si debba prendere la via dell’imbarco per Citera - non ancora forse oltre il nulla della storia in quanto vive pur sempre la coscienza concreta delle volontà, se non capacità, prammatiche dell’umanità:

arrivai infine in questo porto / che mi costrinse a fare conti dentro / e fuori dal mio orto – ora rinavigo / forse più allegro forse più forte e // la conta delle spese e dei presagi / continuo entro l’acqua delle stelle / eppure già mi basta questo segno / di carta che si svolge // pregno d’ogni sorpresa e unione / di barche avverse alla cantica / fiumana delle cose – l’ereditiera // delle salvezze infine pregherò / com ‘l naufrago che si ritrovò / ricco e immenso in ogni cosa

Per La casa sospesa (2003) ebbi l’occasione di osservare, entro la visione della storia di contro alla poesia, la ragione collettiva nella figura padre-figlio che «nella sua ambigua unicità, segna il passaggio generazionale ed epocale come l’evento, unico per la storia, oltre che specificamente per la poesia. Quando le cose già sono, ma ancora non sono codificate [storicizzate], ai fini della comprensione, della comunicazione fra le idee generazionali e i loro soggetti. Ma è la poesia che sa così assorbire la storia, non viceversa. In questa vicenda che Vaccaro mette in evidenza, si dà il riscatto, oltre che della ragione [forse…] anche della storia. Storia che indeboliti come siamo, dopo decenni di demagogie [contradditorie], anche letterarie, vendute per idee (mentre erano solo ideologie, anzi l’ideologia [marxisticamente riconoscibile per piccolo borghese], mascherata da moto libertario, secondo l’abile mistificazione del potere… Vaccaro (infine) ne è testimone, vale solamente… l’isolata insistenza del créateur, origine e fine de l’ouevre, dell’écriture e del suo plaisir (per citare Barhes). La dura prova di Colui che è solo, come si intitola una poesia di Benn… ». Rosa placenta (2003):

Nelle giornate grigie nella fatica e nell’inciampo / accorre sempre e si riaccende la rosa del tuo campo / la placenta che riavvolge bozzolo questo talamo / ogni grido e silenzio appesi al pozzo come amo.