Le Energie del Testo - Alberto Mari

 

Alberto Mari, poeta e poeta visivo (secondo una definizione, come è noto, piuttosto impropria) è coinvolto per sé entro il riflesso della ingannevole realtà. È nichilista sospettoso rispetto alla contingenza della quale soffre l’insistente oppressiva mistificazione e confida di salvarsi in un autonomo rispecchiamento del reale (piuttosto che dell’icastica realtà). Perciò è amante esperto di cinema e nei suoi nostalgici accumuli grafici – collages su collages di frammenti di frammenti – i cumuli mentali si sviluppano cinematograficamente, tuttavia senza angoscia. Non che l’angoscia non lo investa talvolta (dirà «in uno svolgimento frenetico»), in ragione proprio del suo sospetto, ma la sua capacità di manipolare la parola e l’immagine lo acquietano infine in una sorta di atarassia da… sala cinematografica: sparire per ritrovarsi entro, oltre lo schermo d’ombre. Nel buio nichilistico, appunto, della sala medesima, ambiente del tutto estraneo alla vita del fuori. Forse c’è, per rimanere nell’ipotesi di questa immagine, qualche inconscia rivisitazione della scoperta e della rivelazione dell’oltre lo schermo, della verità nello scambio fra l’ombra e la menzogna della vita, non senza ironia fra l’altro, di Woody Allen (“La rosa purpurea del Cairo”…). Si dà nel suo caso (di cinefilo!) l’uso frequente della maschera (d’ombre): tuttavia se maschera significa persona allora non è nel futile contatto con l’apparenza che si manifesta l’intima natura di Mari, bensì nel suo ambiguo segnale che rivela la verità della persona del poeta.

Ma il suo riferimento cinematografico, più deciso, come lui stesso precisa, è “Vertigo” di Hitchcock, frenesia dell’abisso, rischio, vortice. Mistero. Precipizio sul nulla.

Alberto Mari dichiara inoltre la sua particolare (dis)misura: «La mia ambizione sta più nell’impeto a sorpresa e nell’ambivalenza visiva nella quale vorrei convolgere lo spettatore-attore del film incontenibile che ho in testa, uno svolgimento frenetico, con inevitabili passaggi misteriosi, in cui non mi nego certi eccessi e virtuosismi».

Il rischioso dinamismo che si contrappone a tante ansie provocate dalla realtà mistificante è la marca dela sua scrittura. Da pensieri-Orologi (Niebo-La Vita Felice, 2005) leggiamo Haidee (in portoghese desiderata), poesia improvvisata sul brano omonimo di Astor Piazzola in occasione di una rassegna “Poesia e tango”:

L’ebbrezza vibrante / del suono incrinato, / poesia della coppia // arretra nel nome / Haidee, figura / a bersaglio, solenne / colpisce e se ne va / se ne va, sottile, / struggente, nervo // scoperto incalzante // strappa, mente, strappa! / esaurisci il galoppo sognante, / esistenziale, tono profondo, / con arie di frusta / il maturo risveglio // “lascia che ti accompagni / nel cortile del mondo / con un vecchio fruscio / d’intesa con questi tempi.” // Oh, serrato sussulto, / mirabile lamento, / l’affilata dolcezza / si dilunga, gioisce / con affanno / e tutto il valore / si lacera, lacera / carezza, affinità… // gira, gira, gira / infinito, gira / l’incontro volta / il pensiero // fotti, fotti, fotti / pensiero, fotti! / ricorda la vita mirabolante, / l’invasione della notte, / la luna nel cuore / dei passi, la nostalgia / che tortura il gusto estetico. / Impara la virtù / della ferita, la rinata / tristezza con tutti / i tasti a favore… // e ciò che è / e ciò che poteva essere, è ciò che è / e ancora, ancora / magìa e realtà d’arie / interne, esulta / lo scontro / con tutte le cose / tolte, si rialza / il ritmo // gira, gira. / gira, gira, / fuego lento, / esaurimento infinito / del locale, di tutto / il paese che sente, / sente e il lontano bersaglio / ritorna, rialza il capo, / e ti offre da bere / la conclusione / di un’ignota amicizia. // Amore, saluta amore, / gira, rigira, / sempre solenne, / sguardo assassino, // attento ai bilanci, attento! / vita, di nuovo, vita, / fuego lento / qué pasa, / è la cadenza più convinta, // la pausa più accesa / del tuo passaggio, / la bellezza vestita / diretta allo sguardo // non dico di te / imparare a parlarti / via dai tuoi passi / è un presentimento // lo dico al mio amico / al telefono, cosa / non faccio, con tutte / le contorsioni del sentimento, / convalescente.

Rappresentazione sognante, cinematografica, danzante, dinamica e protesa, forse illusoriamente, alla pacificazione visuale del racconto, lo scontro con tutte le cose che son tolte, il disappunto e l’accettazione fantasmatica della mancanza, di contro alla magia delle realtà d’arie interne. E con le contorsioni la quiete del sentimento convalescente. La maschera rivelatrice di senso.

In Conseguenze, sempre da Pensieri-Orologi:

… Questo mondo, quanta carta investi / nell’era che ti racchiude, / abile professionista distorto / dalle vetrate spioventi. // Nel pavimento annega la figura individuale, / la superficie trattiene il rovescio del possibile / nella traiettoria dell’immutabile…

Si disse più sopra della traiettoria ossessionante delle formiche-uomo e dell’immutabilità storica del formicaio. Della vanità del racconto e delle sue giustificazioni: il rovescio del possibile. Il dritto, il rovescio, il nulla. In Cara inquietudine dalla stessa raccolta:

… il fastidio d’intendere / a volere a perdersi, / puntate d’identità, // presa per il corpo / per un niente / solido, / trascorso d’aria, / vive l’azione, la ribalta / s’inclina nell’unica dimensione, / della città franata // e vedevo
le figure / nelle grotte e vedevo / il sonno filmato, / vetrine di traverso, / strade sradicate… // è tutto e basta / porta dopo porta…

… cara inquietudine / fa qualcosa di me / che importi.

In Pensieri, orologi, il poemetto che dà il titolo alla raccolta, la rappresentazione cinematografica mima la vita con le sue ossessioni, le sue incomprensibilità, la sua predestinata immutabilità:

… si spegneva / tutto tra di noi, Morti / d’abitudine, nel canyon / adatto, tra spari, detti e ridetti, / schivare, sibili, oplà. / Meno male … e ti accorgi, / l’hai già visto, ma sei / ancora in tempo a finire / la frase, prima o poi / si
sistemerà nella mente, prenderà / il suo posto, / terreno o ripiano / possibili, ma nell’ordine rimasto / l’etichetta è difficile da togliere…

… ma riesco adattarmi, pur non stando / veramente fermo. Non mi appartengo / del tutto…

… non si fa che / promettere, prevedere / vie d’uscita, luoghi / appostati, incognite, segnali / suggeritori…

… tanto abbiamo perso…

… Occhi di riserva, / fate presto, / sbrigatevi…

… cercate di non calmarvi. / Non so in quali combinazioni / di silenzio io possa rinvenire…

La dialettica fra rumori di realtà e silenzi agognati, fra il nulla catastrofico della contingenza e il nulla prolifico della parola poetica, dell’estremo sguardo rivelatore, si dipana per incontinenti immagini filmiche, fra allitterazioni, asindeti, enjambements ed ellissi. Si scambiano i ruoli e i soggetti e gli interlocutori come in un film di Buñuel (“Quell’oscuro oggetto del desiderio”). Molto altro si dovrebbe dire di Mari, dalle filastrocche al nonsense, dalle prose poetiche ai frammenti erotici, ai fumetti.