Le Energie del Testo - Cécile Sauvage

 

Per la poesia di parola è interessante riscoprire Cécile Sauvage di cui si trascrive qui, in originale e in ri-creazione critica, il testo Voeux simples da “Tandis que la terre tourne” (1905-1908):

Vivre du vert des prés et du bleu des collines,
Des arbres racineux qui grimpent aux ravines,
Des ruisseaux éblouis de l’argent des poissons;
Vivre du cliquetis allègre des moissons,
Du clair halètement des soucers remuées,
Des matins de printemps qui soufflent leurs buées,
Des octobres semeurs de feuilles et de fruits
Et de l’enchantement lunaire au long des nuits
Que disent les crapauds sonores dans les trèfles.
Vivre naïvement de sorbes et de nèfles,
Gratter de la spatule une écuelle en bois,
Avoir les doigts amers ayant gaulé des noix
Et voir, ronds et crémeux, sur l’émail des assiettes,
Des fromages caillés couverts de sariettes.
Ne rien savoir du monde où l’amour est cruel,
Prodiguer des baisers sagement sensuels
Ayant le goût du miel et des roses ouvertes
Ou d’une aigre douceur comme les prunes vertes
A l’ami que bien seule on possède en secret.
Ensemble recueillir le nombre des forêts,
Caresser dans son or brumeux l’horizon courbe,
Courir dans l’infini sans entendre la tourbe
Bruire étrangement sous la vie et la mort,
Ignorer le désir qui ronge en vain son mors,
La stérile pudeur et le tourment des gloses;
Se tenir embrassés sur le néant des choses
San souci d’être grand, ni de se définir,
Ne prendre de soleil que ce qu’on peut tenir
Et toujours conservant le rythme et la mesure
Vers l’accomplissement marcher d’une âme sûre.
Voir sans l’interroger s’écouler son destin,
Accepter les chardons s’il en pousse en chemin,
Croire que le fatal a décidé la pente
Et faire simplement son devoir d’eau courante.
Ah! vivre ainsi, donner seulement ce qu’on a,
Repousser le rayon que l’orgueil butina,
N’avoir que robe en lin et chapelet de feuilles,
Mais jouir en son plein de la figue qu’on cueille,
Avoir comme une nonne un sentiment d’oiseau,
Croire que tout est bon parce que tout est beau,
Semer l’hysope franche et n’aimer que sa joie
Parmi l’agneau de laine et la chèvre de soie.

Voglie semplici

Vivere i verdi e freschi    e gli azzurrini poggi,
gli alberi radicati    alle forre erte all’acque
e gli abbagliati rivi    lucei d’argentei pesci;
e nei clicchettii vivi    delle danzanti falci.
Chiara l’ansante brama    al grillìo delle polle,
alla nebbiosa trama    dell’alba al primo vere, o
le semine ottobrate    di foglie, bacche e spore.
E le notti incantate    lungo l’arco di luna,
le pianole rospigne    gracide nei trifogli.
Annusare le pigne    e, come bimbi, le sorbe
con l’unghiate sgrattare,    raschiare i legni cavi,
doloranti e amare    le dita, bacchiar noci.
Assaporar cremosi,    sullo smalto dei piatti,
i formaggi cagliosi    di satureia fragri.
Non saper dell’amore    di quel mondo crudele
e il rattenuto ardore    donare in sensui baci,
il sapor fresco in bocca    del miele e delle rose, o
quando il palato tocca    agra e morbida prugna.
Per l’amico che, solo,    ne conosce il segreto
cogliere insieme al volo    il vibrar delle selve.
Spartir lumìa nebbiosa    dal curvo orizzonte
e rifuggir ventosa,    sorda alla turba ansiosa;
così estranea frusciare    di sotto a vita e morte.
Quella voglia ignorare,    che invan rode il morso,
e quel vano pudore d’   altrui malevolenza.
Vivere, oltre il dolore,    il niente delle cose,
senza desiar grandezze, né più    riconoscersi;
e tener le bellezze    per quel che, al sole, sole
si posson domandare:    la ritmica misura
compiuta conquistare    con l’anima sicura
e scorrere il destino    senza interrogarlo,
e lungo il suo cammino    sopportar cardi e dardi
e credere che il fato    ha pure il suo pendìo,
e che il dover ci è dato    di scivolar coll’acque.
Vivere così io voglio:    donando ciò che ho.
Rinunciando all’orgoglio    succhiato come l’ape.
Vestita sol di lino,    coronata di foglie,
con il piacere fino    del fico che si coglie;
il sentir d’un uccello    tal qual la monachella,
saper che tutto è bello    ‘sì come tutto è buono.
Aspergere l’issopo    e coglierne il piacere.
Ancor riavvolta, dopo,    nella lana d’agnello,
beata, al tepor del vello.

Cécile Sauvage è nata nel 1883 ed è morta a Parigi nel 1927. Moglie del più grande traduttore francese di Shakespeare. Madre del musicista, recentemente scomparso, Olivier Messiaen, incinta del quale scrisse le sue più belle poesie volendo far rivivere il mito di Cibele. La sua opera omnia fu pubblicata postuma da Mercure de France nel 1929: ripresa recentemente in una ristampa francese. Per oltre settant’anni era stata dimenticata in patria; quasi sconosciuta in Italia. Questa interpretazionie è in effetti una ri-creazione e nasce dalla convinzione ovvia che la materia poetica non sia trasferibile letteralmente da una lingua all’altra. Poiché la poesia è solamente nella materia della lingua: di quella lingua. Ri-creando si possono perdere preziose immagini e irriproducibili testure, tuttavia altre se ne possono guadagnare, di inedite: essenziale, in particolare per la Sauvage, è tentare di cogliere il magma, il flusso biologico che impregna la sua pagana visione della vita. E qui si trattava ancora di sottolineare la sua eredità simbolista (era amica dei maggiori poeti francesi della fine del XIX secolo e il principio del XX), per altro straordinariamente in gran parte superata, almeno in questa poesia e in altre della stessa natura, da una testualità fortemente materica, per non dire, ad evitare equivoci, ‘materialistica’. Vanno anche ricordati i suoi travagli (di fatto morì anoressica) nei rapporti con una famiglia dalle insistite idee religiose e comunque spiritualistiche (come testimonia l’opera del figlio Messiaen)


La ricreazione che viene riportata, con il suo fluire scandito dalle rime e taluni lemmi datati (ancorché l’originale nel complesso sia comunque estremamente moderno), dovrebbe mettere in evidenza il lavoro critico che l’ha preceduta. Perciò si lascia al lettore ogni altra considerazione nell’ambito delle proposte teoretiche enunciate in questo saggio.