Le Energie del Testo - Giovanni Fontana

 

La visual poetry è forse il momento paradigmatico del superamento della discorsività della storia da parte di quella scrittura che voglia rivolgersi al territorio di confine oltre il quale la storia stessa è lasciata all’oblio della propria nullificante contraddizione.

Di questa esperienza di cancellazione e rinascita al di là sono testimoni autori che affrontano la pretestualità storica e contingente nel segno della rivolta anche etica e insieme tuttavia coinvolti nella sollecitazione estetico-formale del quotidiano. Vanno citati fra i maggiori Eugenio Micini e Lamberto Pignotti (poesia tecnologica), Sarenco, Nanni Balestrini: essi non ignorano la storia e il suo racconto temporale bensì li manipolano disturbando, e talvolta, appunto, esaltando la rappresentazione con l’ironia, il sarcasmo demolitori del segno. Vivono, secondo la loro originalità, la stessa contrapposizione interna della Pop-art.

Guardano alla storia come pre-testo epocale, mitico, originario, per esempio, Gino Gini, Fernanda Fedi, William Xerra.

L’originario segno-immagine e la sua autonoma metamorfosi, la sua forma fluens, la sua autonomia, prendono decisamente il sopravvento sulla storia, fra concettualità e accumulo, in Irma Blank, Ugo Carrega, Luciano Caruso, Michele Perfetti, G. Paolo Roffi, Alfio Fiorentino, Ruggero Maggi, Giancarlo Pavanello, Alberto Mari…

Emilio Isgrò è uno dei più significativi ai nostri fini con le sue Cancellazioni: la parola esaltata nei secoli per la sua significazione tanto solenne quanto menzognera (Enciclopedia, testo canonico) viene definitivamente cancellata.

Vincenzo Accame riduce la parola al segno raffinatissimo, sottile, fantasmatico dell’intra-visione tracciando percorsi lineari (spiritualità programmata) quanto, a prima vista, evanescenti: vanno infatti pazientemente penetrati per essere colti nella loro in-visibile ambiguità.

Il salto irreversibile per una scrittura oggettiva, al di là della contingenza narrativa, va riferito all’opera di Adriano Spatola, prima con la poesia concreta, poi con la poesia totale. È la materia del segno ormai a prevalere, nascosta ciascuna memoria temporale e illusoriamente progressiva del discorso. L’insificanza trova il suo senso nella vicenda iconica, talvolta ‘monumentale, comunque autosufficiente della composizione spaziale (prima che temporale). Presenza che risponde ai misteri formali della lettera, del segno scritturale, e delle loro plurime manifestazioni.

Certamente ancora una volta vale la ventura di Marcel Duchamp, le suggestive in-venzioni che si possono trarre dalle proposte nei suoi taccuini. Ne basti una: «Per il dizionario cercare degli equivalenti di colori che non si vedano… Dieci parole trovate aprendo a caso il dizionario per A… per B…» (M.D.“Il mercante del segno”, ed.1978).

Quindi valgono innanzitutto le in-visibili equivalenze, il caso e il rischio. (ovviamente Mallarmé!): non certamente la sintassi manieristica e ingannatrice della storia.

Nel 2009 alla Fondazione Berardelli di Brescia si è tenuta la vastissima antologica di Giovanni Fontana, “Testi e pretesti” (cfr. il ricchissimo catalogo): quasi mezzo secolo di visual poetry, poesia della voce, poesia
del gesto.

Dire dell’attività di Fontana è impossibile in una breve nota: va sottolineato che l’artista ha percorso con qualitativa pregnanza e significazione, e con personalissima originalità, ogni aspetto della vicenda sopra descritta, dalla poesia tecnologica, alla poesia concreta e performativa: quindi totale.

Certamente coinvolto nell’esperienza spatoliana (con Spatola ha lavorato sovente anche a quattro maini), ha saputo conseguentemente sviluppare la propria in-leggibile e in-terminabile (per dirla con Giuliano Gramigna) e poliedrica scrittura.

Fontana traccia un percorso extra-vagante, perciò infine decisamente antistorico (nel senso più volte qui enunciato). Un percorso, nello spazio (dei segni, delle voci, dei gesti) senza principio, né fine, o meglio, forse, prima del principio e dopo la fine della scrittura temporale. E se alcuni pseudo-racconti possono trarre in inganno, in realtà possono far scoprire una inconscia maestria surreale gestita al fine di rivelare un dis-ordine, una con-fusione, cosmico-biologiche.

Negli anni ’80 la sua grafia, superate certe esperienze tecnologiche, sfrutta ormai solo in parte la costruzione guttemberghiana per esaltare infine il gesto – calligrafico per l’appunto della mano.

Nasce in quel tempo un’opera fra le sue più sottili, allusive, raffinate: Luomo delle pulizie (cfr. i testi grafici alle pagg. 57 e 58). In cui l’ipotesi

 

 

 

duchampiana-dada trova una realizzazione altra, rispetto alla contingenza provocatrice, da leggersi quasi secondo una propensione inconscia ad un certo neo-lirismo. L’Uomo delle pulizie (di tono, se vogliamo, anche kafkiano) ‘racconta’ la lotta fra la volontà, seppur pauperistica, di distruzione (il CRAC dell’insetto schiacciato), e di pulizia spaziale. Stefano Lanuzza, ai fini di questo nostro generale discorso, fu esemplare quando scrisse in proposito: «L’uomo delle pulizie di Giovanni Fontana – pregnante prova di un poeta della visualità che perviene alla sua più limpida espressione, in cui sono messe in scena e cronaca ironica le scorie della realtà,facendoci
convinti che quel misero e febbrile uomo delle pulizie incrociante i nostri occhi distratti è il poeta che va spazzando la polvere di questa nostra sporca storia».

Altra serie di grande suggestione, negli anni ’90, è proposta dalla Suite elettrografica in cui decine di spartiti composti da equivalenze di colori e grafie che non si vedono, si sentono anche sulla carta… cantate aprendo a caso il dizionario. Vale ancora in proposito la serie altrettanto ambigua e leggerissima, e assai significativa La voix et l’absence.

Si tratta per altro effettivamente di ‘spartiti’ che sorreggono le dismisure della voce negli interventi spettacolari delle performances di Fontana. Ascoltando le registrazioni di questi ‘concerti’ si può risalire al paragrafo 4.2 di questo saggio in cui si è detto delle esperieze della musica (sia elettronica, sia strumentale) più recente.

Di Giovanni Fontana vanno ricordate anche le Scritture lineari antologizzate in un volume del 1986. Ne leggiamo qui una fra le più probanti per questa analisi:

forse è di una finestra che si tratta / aperta sullo spazio / forse è di una porta che si tratta / murata un giorno per compiacenza / (o per complicazione di percorso) / forse è di una modifica formale che si tratta / forse
strutturale // si tratta di cancellazione / o è di esclusione che si tratta // per deviare la logica del discorso // il mistero è rapido

In merito comunque al già sopra osservato passaggio – nell’opera totalizzante di Giovanni Fontana - dalla geometria guttemberghiana della lettera, spaziale, ereditata da Spatola, alla fluidità calligrafica delle personalissime esperienze successive, rivolte a valori cosmologici, vale a dire anche fisici e biologici come s’è detto (secondo il suggerimento analogico delle nuove scienze), si può rammentare una affermazione programmatica del Nobel della Fisica Frank Wilczec espressa e documentata nel saggio “La leggerezza dell’Essere-La massa, l’etere e l’unificazione delle forze” (tr. it. Einaudi, 2009): «La materia non è ciò che sembra. La sua proprietà più evidente – chiamata variamente resistenza al movimento, inerzia o massa – può essere interpretata in maniera più profonda in termini completamente diversi. La massa della materia ordinaria è l’energia contenuta nei componenti più elementari, in sé privi di massa. Neanche lo spazio è come sembra. Ciò che ai nostri occhi appare come spazio vuoto si rivela alla nostra mente come un mezzo complesso, brulicante di attività spontanea».

Questo brulichio – al di là della fisica, comprensibile, per la parola, per il segno, per il suono, solamente grazie alla unificazione magmatica antistorica della poesia e del’arte e della musica – caratterizza fortemente le scritture, i suoni, i gesti del più recente lavoro di Fontana. Il suo è appunto un perpetuo attraversamento (superate le fondative barriere spatoliane) dei territori dissodati del nulla, là dove oltre la contingenza e la frequente mistificazione, materia come resistenza al movimento, si scopre quella verità dell’origine che era stata (ed è) occultata da prepotenze utilitaristiche.

Non si creda che Fontana sia lontano dalla storia e dal suo racconto, egli si pone piuttosto di fronte alla storia per coglierne le oppressive mistificazioni, per liberare le cose e interpretarle in maniera più profonda e in termini completamente diversi. La forma come liberazione dalla massa.