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Anita Guarino Sanesi


Lesa sul Lago Maggiore, 29 febbraio 2014

Cara Anita,

di Roberto Sanesi molto s’è detto e ancora si dirà certamente perché la sua apertura creativa non ha soste. E ce ne accorgiamo sempre con coinvolgente e appassionata meraviglia ogni volta che semplicemente (ma in lui mai nulla è semplice) pensiamo alla sua opera, o apriamo (anche a caso) un suo libro, una sua antologia, una sua raffinata traduzione: entriamo coinvolti in uno di quei labirinti di parole e di segni che abbiamo voluto, sovente con faciloneria, definire poesia visuale, piuttosto che - riferendoci al suo stesso intendimento, al suo progetto testuale fra parola, colore, disegno, memoria, ragione critica, astrazione -, dovremmo chiamare meglio spazialità poetica senza confini, al di là di quei fantasmatici, eppur razionali insieme, segni vissuti come parole e recepiti sempre come tracce indelebili sulla strada di un suo passaggio inarrestabile e anche meravigliosamente (la meraviglia è quella anche di un suo lieve respiro neobarocco) indefinibile, coinvolgente, liberatorio di energie fondanti (malgrado a suo tempo certi deprecabili silenzi critici ed editoriali), della vicenda del Secondo Novecento.

Poeta raffinatissimo, grafico sublimabile, traduttore, uomo di teatro, shakespeariano, insostituibile lettore e traduttore di Eliot e di Dylan Thomas, amico dei letterati e artisti più prestigiosi del ‘900 – Berio, Cecchi, Michaux, Pivano, Pomodoro, Quasimodo, Schwarz, Strehler, Sutherland, Tilson, Vittorini, e cosí via… solo per fare qualcuno dei molti nomi con i quali aveva dimestichezza di lavoro e di stima, di amicizia. Sempre letterariamente e umanamente innamorato di quel concetto di poesia nel senso più lato che tu rammenti particolarmente riferendoti ai tempi della neoavanguardia: perché si crede che per esprimere lˊintelligenza si debba essere ad ogni costo sperimentali ...? Lui pensava che la poesia fosse ricerca, crisi, pensiero, sofferenza, lettura personale e non convenzionale delle cose, che dovesse far pensare appunto. Guardare avanti… E opportunamente citi Gillo Dorfles: «La poesia d'avanguardia consiste nella decontestualizzazione, ossia togliere all'oggetto la sua fisionomia e farlo divenire altro… E un grande atto di rivolta ma non è fondamentale per rinnovare la poesia, perché la poesia, quella vera, è già denuncia della crisi e non ha bisogno di decontestualizzarsi». 

Questo era il senso vero e ultimo dell'atteggiamento di Roberto verso la creatività, verso l'esperienza poetica.


Ma la tua storia, la tua ventura personale a fianco di Roberto ha, ora, in questo diario di una vita, diario di una coppia, un profondo altro significato, quando si debba andare oltre il discorso critico­storico: di "Di te, di me, dell'albero". Lo coglie puntualmente, com'è suo stile, Gilberto Finzi nella misuratissima Prefazione per Anita: «Fin dalle prime pagine, dunque Anita, si rivela una protagonista, una vera partecipe dell’arte e della poesia in fieri del marito, lo confessa lei stessa: “Mi affanno, sospinta da una corsa inutile, a riafferrare una vita che mi sembra solo immaginaria”. E altrove, dopo aver parlato di lettere che lui aveva scritto a suo tempo: “sono rimasta spettatrice inconsapevole di me stessa. Nascosta in quelle lettere”. D’amore».

Amore e poesia: forse il connubio, nei millenni, anche a cominciare e dopo, per esempio da Saffo, è stato abusato, vanificato da retoriche insipienti, che dalla carta e dal canto poetico sono arrivate fino ai libretti d’opera, o peggio alle canzonette. Ma non meno, forse, è stato danneggiato da pretese psicoanalitiche, biografiche, sociologiche… soggettivamente e vanamente pretenziose più che appassionate. Qui tu parli d’amore e di poesia con la semplicità (infine altamente lirica, di contro certi apparenti stilemi passati per poetici, d’uso banalmente comune) , con la leggerezza di una profonda affezione. Di una ammirazione silente e quasi inconfessata. Anche in queste pagine riveli, con quella pacatezza che contiene non superficialmente, non platealmente il dolore, la nostalgia… la comunione. La presenza. Avresti sempre, negli anni di vicinanza, scriverle queste tue emozioni. Ora dici: ecco una lettera mancata che non ha fine… Conclude Gilberto: «Il destinatario ideale è Roberto, la lettera è una dichiarazione d’amore. Come in fondo tutto questo libro».

Molte poesie di Roberto, molte affermazioni, molti punti di vista sovente decontestualizzati – come s’è detto – dalle realtà più o meno creative, innovative, più o meno sincere e valide del Secondo Novecento, riporti con semplicità umanissima e, appunto, modesta, riservata… non meno emozionata. Molto dovrei citare, ma qui è impossibile – e poi, lo dico per il lettore – il libro va letto interamente se si vuol cogliere il clima così originariamente biografico, storico, critico quando per crisis si intenda non un riferimento accademico, ma la condizione passionale di un amore, per l’appunto.

Coinvolge tremendamente il lettore una delle ultime poesie che scrisse:


Viene con piede leggero

la lunga pace silenziosa

viene

con i tuoi grandi occhi di pena

con le tue mani sottili e con il corpo

che bianco si ripiega

salice

e luna alta nei cieli

che hanno visto una storia senza storia

e viene

con il tuo ricordo presente

(tu fuggi)

e la tua signoria

sopra di me che resto

e la tua

presenza mentre fuggi è la mia storia

(noi due)

ascolta dunque

la neve

si rifugia nel tuo come nel mio dolore

ascolta

la neve non si scioglie

neppure a oriente

per noi

viene con piede leggero

la lunga fiamma che non è riposo.



Scritta a Anita Guarino Sanesi in occasione dell’uscita di “Di te, di me, dell’albero” (ExCogita Editore di Luciana Bianciardi, Milano 2013)