Daniele Santoro

Rosa Pierno, Artificio, Robin Edizioni, Roma, 2012


Libro sui generis e assolutamente fuori dalle ‘mode’ letterarie, Artificio di Rosa Pierno ha già nel titolo una sua chiave di lettura: artificio è l’abilità notevole nell’eseguimento di un’opera ovvero il saper fare, l’operar con arte, con quella che i greci appellavano téchne. E il richiamo da subito al connotato della forma non è peregrino. Un’aura barocca permea, infatti, quest’ultimo lavoro della poetessa romana e ne è anzi il suo punto di forza.

Articolato in due sezioni interagenti, Artificio e Amore fossile, esse formano come “due organismi messi in reciproca postura di desiderio” come scrive in una bella ed esaustiva introduzione il prefatore Gilberto Isella. Sicché proprio all’insegna della lotta immarcescibile tra Eros e Antieros, l’opera si configura come una sorta di trattato poetico intorno al macrotema dell’amore nella molteplicità delle sue sfumature. Il rimando è a un non larvato confronto con la nostra migliore tradizione letteraria, volta e testimoniare la perennità di un sentimento che muove dialetticamente tra logos e ars, tra immaginazione e razionalità. Tale complessità, svolta a mezzo di vere e proprie variazioni sul tema, trova proprio nell’antitesi la sua più autentica cifra: «consonanti e vocali costruiscono il ritmo della frase» (p. 61), così che «parole e musica tessono, con moti e tempi contrapposti, una trama e un ordito non più separabili» (p. 61).

All’insegna del doppio, delle corrispondenze speculari, eros e thanatos lottano e si annullano per “incontri e scontri”: “madrigali guerrieri si alternano a madrigali d’amore” (p. 80), “Amor non è tuo padrone né tu a lui servo. Lui, invece, mi domina e io non gli sono sottomessa. Io lo guido e lui la via m’impone” (p. 60), “Amor non è prigione, ma libera catena” (p. 28).

Di là della dialettica “unione/separazione” e dell’impossibilità di addivenire ad una reductio ad unum, è soprattutto sul piano espressivo che il libro rivela la sua energia; ciò si evince già dalla sua struttura in microprose che – a ben vedere – annidano al loro interno non pochi inserti di matrice poetica, ben miscidiati peraltro a liberissimi calchi di più varia estrazione letteraria. Si noti l’uso delle rime, abilmente nascoste o interne, altre volte scopertamente manifeste, in virtù della strutturazione del testo in prosa poetica: «Porporeggia / sereggia» (p. 17), “buche / fughe” (p. 30). La stessa orchestrazione dell’opera in capitoletti rivela uno stile ipotattico sapientemente orchestrato, tipico di nuclei descrittivi; ne consegue che il periodare per subordinazione di frasi in un articolarsi lento e avvolgente conferisce al dettato eleganza, sobrietà espressiva in linea con certe temperie di marca rinascimentale e - come già scrivevo - barocca. Di conseguenza, il registro è formale e brillante, caratterizzato da un lessico ricercato, aulico, gemmeo che dà, per ogni dove, lustro al caleidoscopio degli scenari rappresentati; di qui pure l’uso di una pregnante aggettivazione resa per coppie antitetiche (“suoni pungenti e morbidi”, “sapori aspri e dolcissimi” ecc.) e ben rispondente all’esigenza di rendere la variegata, totalizzante visio mundi dell’autrice; una aggettivazione che si pone in linea con quel processo di amplificazione poetica, sottostante a un ornatus caro a Pierno e alla finalità dell’opera di dar finanche meraviglia (mi si passi l’avverbio marinianamente). Frequenti, pertanto, le enumerazioni: “i soavi sospiri, gli accenti discreti, le aperture felici” (p. 73) rese per mezzo di figure di accumulazione (“si può essere curiosi di libri, di stampe, di quadri, di medaglie, di bulbi di tulipano, p. 60); accumulazione, anch’essa, che non vuol essere mero sfoggio, quanto risposta a una esigenza di tradurre il molteplice, senza pur tuttavia rinunciare a una partitura del dettato colorita e smagliante. Notevole, di conseguenza, il campionario delle figurae elocutionis: anafore, poliptoti, anastrofi, che rinviano a costrutti perifrastici latineggianti-boccacceschi, del tipo “e dunque alfine solo poesia resta” (p. 63).

Quanto al livello metrico, si constaterà, a una lettura intraprosaica, che gli inserti poetici sono affidati a una varietà di metri: dall’endecasillabo (“Legge, donzella, e il cor gli si rapina” - p. 45) a metri di più stringente respiro quali, in primis, settenari o novenari. Insomma, un campionario retorico di suggestivo effetto, che evidenzia appieno il messaggio trasmessoci dall’autrice.