Gio Ferri

Letterale”

Conversazioni con gli autori

Cesare Viviani

Adam Vaccaro

Sangiuliano

Giuliano Zosi


A Cesare Viviani


Lesa sul Lago Maggiore, 8 aprile 2014

Caro Cesare,

stavo leggendo “ Moralisti francesi, Classici e contemporanei ” (a cura di Adriano Marchetti, BUR, Milano 2008) quando ho ricevuto il tuo volume “ Non date le parole ai porci, Prove di libertà di pensiero su cose della mente e cose del mondo ” (ed.”il melangolo”, Genova 2014). Anche quest’opera tua respira l’aria di un ‘moralismo’ sapiente quanto ‘discretamente’ giudicante - noti di riferirti in parte al Vangelo e al India minima del caro amico Carlo Alberto Sitta

Tornando a quei moralisti francesi (moltissime sono le proposizioni tue che li richiamano, magari da diversi altri punti di vista), sfogliando entrambe le pubblicazioni mi capita di soffermarmi su due considerazioni che riguardano la morte .

Jude Stéfan (1930-): «La morte è l’assassinio più atroce. La consolazione più dolce. Marcire? Cosa di più meritato dalla mia genia? La morte è l’eterna musica. Uccidersi discretamente. Cambiare aria. Fondo sonoro del suicidio: una sfilata militare. Grazie alla morte scherziamo, già ride il nostro scheletro. Si agonizza soli. Requiem del solitario: “Fu un essere straordinario. Lui solo lo seppe”».

Tu della morte dici: «Ci sono due modi per alleviare l’orribile e agghiacciante definitività della morte (“Non ci sarà mai più qualche cosa di loro”, Ecclesiaste ). Il primo è non separarsi dalla natura. Ma invece osservarla, amarla e imitarla nei suoi cicli di vita. Il secondo è restare in contatto e in sintonia con i tratti comuni, ovvero di comunanza e affinità con l’esperienza e l’esistenza degli altri, con i tratti particolari e caratteristici, unici, individuali di sé. Insomma più la sorte comune che la sorte singola».

Quale disponibilità si manifesta in comune fra questi due modi di vivere (… paradosso) la morte? “La mia genia” immeritevole è quella dei “porci” ai quali non dare la parola, tanto meno la parola poetica. La morte è l’eterna musica, fondo sonoro (militaresco) al quale cinici (come porci…) osiamo sorridere (… beffarci). Si agonizza soli, in sé, tuttavia con tratti comuni con gli altri, e la morte, malgrado tutto, si fa sorte comune e non singola. Così con gli altri viviamo, perché il benessere viene dall’ascoltare (e moriamo) di una comunanza amorevolmente naturale. E ciò malgrado l’orrore e la terribilità della morte. Marcire? Farlo ‘discretamente’ con la volontà di ‘cambiare aria’. Volgendosi alla sorte comune e non alla egoistica sorte singola.

È, questo, uno solo fra i molti detti tuoi e di Jude Stefan, e di tanti altri moralisti, antichi e attuali. Certo l’insieme non manca di un diffuso pessimismo, malgrado l’invito alla naturalità. Si mette infine quasi sempre il dito sulla piaga della nostra troppo meschina quotidianità. Quasi sempre pretendiamo il cibo fangoso con la stessa affamata sozzura dei porci. Ai quali offriamo ghiande marce come parole solenni. Va riconosciuto che si tratterebbe di morire prima di morire se la parola non fosse quella della poesia : ma i porci sanno apprezzare la parola della poesia?

Scrivi di un principio e di una fine (speranza, volontà, illusione?): “Si dovrebbe con l’esempio insegnare ai giovanissimi ad amare la fragilità (della vita) e la bellezza (della vita)…”. E infine concludi: “…È la dimensione collettiva la vera storia di ognuno: e in essa diventa sopportabile la tragedia del male”. E della morte.

(Scritta a Cesare Viviani in occasione dell’uscita di “Non date le parole ai porci”), Ed.” il melangolo” , Genova 2014


A Adam Vaccaro

Lesa sul lago Maggiore, 10 aprile 2014

Caro Adam,

mi scuso vivamente e affettuosamente se ti scrivo solo ora (mi perdonerai,amico come sei) in merito alla bellissima, ricca e rivelatrice antologia (non tutte le poesie pubblicate mi erano rimaste nella memoria (1978-2006), tradotta in inglese da Sean Mark, docente fra l’altro nei diversi anni presso le università di Milano, Londra, Tübungen… Mi congratulo vivamente con te, per la tua meritata fama ormai… internazionale!

Ho letto con grande interesse qui e là, e continuo a leggere malgrado il mio inglese non sia certo dei migliori! Non è facile recensire una tale raccolta discutendo, oltre al valore della tua poesia, la misura e la proprietà (poetica) delle traduzioni. Dovrei, vocabolario alla mano, entrare nel merito dei testi bilingui per giudicare la valenza delle interpretazioni (che, come sai chiamo ricreazioni ).

Per mio piacere e nell’intento di incuriosire i lettori di “Testuale” mi limito a citare i versi alle pagine 140-141 che mi sono, fra tanti altri, i più graditi:

Io giravo scalzo e senza

pazienza senza consistenza

senza accoglienza nemmeno del

vento che mi braccava nella polvere

come l’ultimo invisibile granello

qual era e nient’altro

anch’io

Che all’urlo d’ali della Terra

bastò poco per sollevare

fino a questi prati di cielo

limpidi e senza limiti così

pieni dello stesso niente che

ero – finalmente angelo e

libero

.

I was walking aroud barefoot

impatient and shapeless,

unwelcomed even by the wind

that harassed me in the dust

like the last invisible grain

I was and nothing more


I, too, for whom the earth-wings’ scream

was enough to lift me to these fields

of clear sky, limitless and stuffed

with the same nothingnrss that

made me – an angel at last, free

(Scritta a Adam Vaccaro in occasione dell’uscita delle traduzioni in inglese della sua poesia, Chelsea Editions, New York 2014)




A Sangiuliano

Lesa sul Lago Maggiore, 20 agosto 2014

Caro Sangiuliano,

questa tua recente plaquette merita l’attenzione di una poetica sfrontatezza , anche se la poesia sempre per sua natura, stravolgendo ogni moralismo compreso quello linguistico, ha l’obbligo d’essere… immorale. Forse – anzi io lo credo – non è il tema che fa la poesia, ma la sua ambigua scrittura. E qui ambiguo è il giusto epiteto che può accontentare sia i moralisti, sia i libertini, sia i lettori che trovano la poesia esclusivamente nel non- senso della ambiguità del linguaggio (mistero, onirismo, contraddizione, libertà del segno e della parola – emozione di per sé sensitiva, sessuale - rispetto a quello che appunto si usa chiamare con istituzionalizzata ipocrisia, decoro, morale, buon senso, disposizione rispettabile, ecc.).


Credo insomma che Emozioni esplicite (proprio in quanto poeticamente ambigue nei diversi sensi detti) possa leggersi come un manuale dell’erotismo : che tuttavia ha il pregio di una prosodia raffinata (ancorché, o proprio perché, classicamente retorica). Potremmo asserire che la volgarità sta nel discorso comune… così blasfemo di fronte alla ipocrisia della realtà più menzognera e sovente crudele, mai nella dismisura della parola poetica (e di altre arti). Tanto più che tu con grande abilità e variabilità linguistica ti affidi ad una pregevole tradizione antichissima e insieme attuale. Le stesse illustrazioni di questo manuale richiamano appunto quella tradizione, quel tempo esplicito, appunto, della poeticità come sopra l’abbiamo intesa.

Ecco assai appropriate le immagini delle figurazioni erotiche egiziane, etrusche, pompeiane, indiane, cinesi, giapponesi… tutte, più o meno secondo l’epoca, riferibili al kamasutra , sintesi erotica sovrana. Ma, oltre queste citazioni, si dovrebbero ricordare gli affreschi della Sala dei Giganti del Palazzo Tè e l’esaltazione carnale dei dipinti di Rubens . Ma anche la letteratura ha i suoi nobili esemplari da Boccaccio al Divino Marchese, e per avvicinarci ai giorni nostri da Céline, ad Apollinaire, a Pasolini…

L’amico Sandro Montalto nella prefazione sottolinea: «In questo intreccio felice il godimento del sesso e quello della parola vanno di pari passo». E la prova è offerta, ripeto, dalla dismisura testuale. Non abbiamo qui tempo e spazio per percorrere ritmi,

rarità semiotiche e stilistiche, richiami alla prosodia classica di tutte o molte delle poesie – in cui la forma sovrasta infine il senso, rendendolo tuttavia più provocante e coinvolgente. Mi limito ad un componimento che mi sembra per varie ragioni fra i migliori: quello che si numera come XXVI:


La verità è nascosta quanto basta

a blandir gonzi ed unica certezza

è che cazzo ci cova. E non è frusta

ossession d’impretato se è la razza

che a Natura interessa e non per trista

disperazione nella voglia pazza,

l’ostico andar di un singolo arrapato,

l’amor che muove il sole e l’altre stelle,

considerato bene il nostro stato,

altri non è che un urgere di palle


L’endecasillabo trecentesco, con rime sparse e false rime, rende raffinata, a blandir gonzi , l’esclamazione della volgare sapienza, per quella icastica realtà ( cazzo …!) che ciascun ipocritamente vuol nascondere, mentre, anche inconsciamente, invece accoglie per quotidiana abituale blasfemia. Senza vergognarsi discorrendone, temendo invece sempre l’esecrazione quando osi scriverne. Ma in verità, assai pudico (!) mai ne scrive, nemmeno sulla stampa di contesto pornografico.

Ecco, qui nei tuoi versi (questi e altri), la cosciente e gioiosa e sarcastica considerazione di una volontà di Natura che non può mai manifestarsi se non per ragioni di verità: e la poesia e l’arte sono il tramite di questa condizione originaria ed eternale, che segna l’origine del mondo e delle sue leggi. Al di fuori di ogni utilitarismo prammatico, ancorché sessuale. È propriamente, esclusivamente, la poesia luogo della verità incontrastabile. Compresa, ovviamente, la natura erotica dell’universo – per ragione del suo piacere e del suo stesso esistere.

Tuttavia, sempre per obbligo di verità, non dimentichi che pur la Natura ha le sue debolezze. Lo dici chiaramente, e ancora con graziosa dizione, alla poesia XXXV:



Or posso aver certezza che Natura

d’accordo col Poeta - ci è matrigna

crudele e ineluttabile: non dura

che un attimo il sollievo della fregna…


Abbiamo detto di un manuale erotico: ma la definizione è troppo scientifica e meccanica , perciò nessun lettore, io credo, avrà bisogno d’essere istruito sull’argomento! Ma ciascun lettore, se saprà leggere, scoprirà il senso poetico della Natura quando si affidi alla misura altra del linguaggio poetico. E delle sue sonorità.

(Scritta a Sangiuliano in occasione dell’uscita della raccolta di poesie erotiche Emozioni esplicite, Joker ed.. Novi Ligure 15067)




A

Giuliano Zosi

Lesa sul Lago Maggiore, 3 marzo 2015

Caro Zosi,

ti scrivo ringraziandoti desiderando fra l’altro di pubblicare questa mia lettura ai lettori di “Testuale” che, per altro, ben ti conoscono quale musicista, compositore d’avanguardia, e sperimentazione, ed esecutore,

In questo denso volume (da poco proposto dalla editrice “Sedizioni”) rilevo con grande curiosità e interesse che ti proponi di testimoniare in maniera probante, la mitologia di una esperienza come affermi già nel frontespizio, maturata negli anni entro il rapporto personale e collettivo fra musica e poesia, compresa la musica elettronica e la poesia sonora. La lettura del testo e la presa d’atto di tale esperienza è estremamente prestigiosa – anche, va detto, per la appassionata chiarezza della tua scrittura.

Nell’età romantica (e forse assai prima - si pensi che fin da Saffo la parola poetica era letta in pubblico accompagnata dalla musica), il rapporto musica e poesia – ovvio citare il teatro lirico - come noti fu sempre intenso, ciò per la insita musicalità del verso, e il naturale rapimento della voce nell’eco dello spazio. Nel Novecento, la simbiosi si fa più stretta e espressamente strutturata, come avverti, “e si apre a sperimentazioni complesse, come il recitato che scorre in partitura direttamente sulla musica…, o il recitarcantando… o quando la parola viene segmentata sino a divenire puro suono”. E per la musica si è detto anche puro r umore (il rumore della talvolta ossessiva, ma non meno espressiva, quotidianità moderna, nostra contemporanea).

Ci risparmio qui, perché già ben conosciuti anche dai lettori, i tentativi futuristi, la dodecafonia, la ricerca di cui Berio e Maderna, con altri, furono in qualche modo fondatori genialissimi di una scuola, prima italiana e poi internazionale. Queste e molte altre vicende consimili sono da te rivisitate, storicizzate e testimoniate con grande perizia tecnica ed espressiva quando percorri, in vari capitoli, le misure (e dismisure) della recitazione, della scuola di Vienna, di Britten e l’avanguardia inglese, la poesia sonora…. e così via.

Quelli che qui, in breve, posso, sorretto dalla tua sapienza citare e sintetizzare sono alcuni passi (che chiamerei linguistici e persino filosofici) sottolineati concettualmente dalla tua profonda ricerca critico-storica e tecnica.

Per passare dai due territori creativi legati dai apporti delle due discipline espressive va notato - particolare accenno, per altro da te esemplarmente espresso sulla traduzione “da linguaggio e linguaggio, che è cosa diversa della traduzione tra lingua e lingua”. Certamente vuoi precisare l’insistenza di una ipotesi metodologica che non tradisce alcunché, anzi, dà vita ad un unicum espressivo : vale a dire la ricreazione. Dar vita cioè (più di quanto non avvenga nella traduzione che vuol essere tradimento e insieme tradizione) ad una collaborazione espressiva, o forse meglio espressionistica. L’oggetto segnico e la proposta sonora si fanno momento-movimento albale, primigenio, tanto più se intervengono nel contempo altre disponibilità artistiche, quali per esempio la pittura ( gestuale e astratta in genrale) e la danza.

In una lettera recentemente indirizzatami (e, credo indirizzata in generale ai lettori) usi diverse definizioni esplicative e, direi fondative di una terza o ennesima opera, che giustamente definisci rivelazione o, aggiungerei, epifania di un nuovo mondo . Di un muovo (magico, perché no?) universo. In cui la comprensività è assolutamente in-definibile : secondo una dizione del poeta Giuliano Gramigna, in cui quell’ in è insieme negazione di una abitudine, e misterioso recupero potente dei territori in- conoscibili dell’ in- conscio. In… in… in… è il passaggio, oltre la volgarità realistica, della banalità quotidiana. Di ogni facile sentimentalismo. Di ogni ipocrisia.

I capitoli delle prime 200 pagine sono definiti da una valenza storico-critica di grande significazione e pur dettata da una chiarezza anche didascalica di vasta utilità conoscitiva. Impossibile percorrere qui in una breve lettera la mia lettura di una vicenda creativa che ha segnato quel connubio tra parola-segno-spartito, cantabilità dalla musica classica all’avanguardia. Del ‘9oo e dei giorni nostri. I nomi di questo fenomeno creativo si affollano: da Bach, al lied , da Vivaldi, a Stravinskij, alla scuola di Vienna, a Berg, a Bartok, e così via… : fra i vari esempi particolarmente significativo è solo, per farne un cenno ad uso dei lettori di questa missiva che vorrei pubblicare in “Testuale” appunto, Werklärte Nacht di Dehmel (poeta)-Schomberg. Vi è qui fra parola e suono tutto un palpitare di linee, che si intrecciano e si inseguono, di respiri che si accavallano, di frasi commosse che si distendono…. Impossibile scindere le parole dai suoni gemelli. Ciò vale di passata, come ben noti, in particolare per il connubio Mallarmé-Debussy…. Ma a infinite altre suggestioni ci riporta la tua acribia analitica.

Il cap. 2, e ci pare doveroso citarla, si apre con una considerazione dell’autore: “Solo oggi siamo in grado di trattare criticamente un tipo di collaborazione tra poeta e musicista, che soltanto nel ‘900 ha raggiunto nuove possibilità di impiego e notevole affermazione artistica. Parlo dell’incontro tra la voce recitante e la musica…”. Forse da questo momento conoscitivo delle tue condivisibilissime tesi possiamo passare a quelle evenienze che caratterizzano il ‘9oo e i giorni nostri: ( Avanguardia – pag.215), Poesia sonora - pag.265), Ultima generazione - pag.311). Le tue analisi testuali (verbali e musicali) meriterebbero (e ci spiace qui di non aver spazio) un esame di una sperimentazione critica di altissimo livello. Aperta a scoperte imprevedibili. In particolare per l’opera, troppo trascurata dalla critica, di Benjamin Britten. Un altro duo - ma sono solo brevi esemplificazioni, ricordati con sorpresa forse anche dagli addetti: il poeta Libero De libero e Petrassi…. E su Petrassi (e poi su Dallapiccola) scrivi pagine di grande sapienza e fascino. Ma si dovrebbe continuare… Il testo – che segue un rosso filo logico e teorico – va letto con attenzione per intero. Ed è questo che suggerisco insistentemente agli appassionati di musica e di poesia. Di qui passi per arrivare alle ardite (e sovente) inedite complessità – anche politicamente impegnate e aggressive – di Nono, e Maderna e Berio… e più tardi Boulez… in cui si accumulano i rumori della città, le voci delle proteste, il montaggio di materiale registrato. Ci confermi che è decisamente l’inizio di una nuova era musicale (direi rumoristica-verbo-musicale), quella elettronica in particolare, consona ai tempi (anni ’60 e oltre) e all’ascolto, se vogliamo anche ‘di parte’, problematico ma estremamente vitale: “musica audacemente aperta ad ogni configurazione di linguaggio sonoro e rumore…”, e vorrei aggiungere silenzio (Cage). Si manifesta in questi autori anche l’influenza della musica asiatica e sudamericana. Sottolinei inoltre, ancora per Berio, meno impegno politico, bensì maggiore attenzione ai testi poetici. Fra gli altri a Pablo Neruda. A proposito di Boulez e del suo rapporto nativo fra suono e parola poetica e la presenza corporea della danza ci rammenti acutamente una dichiarazione del medesimo compositore: «Il poema per me – Mallarmé - è un oggetto di cristallizzazione musicale». Affermazione che ci fa ritornare alle prime considerazioni sul connubio albale strettissimo fra il suono e la parola. In proposito giustamente ti soffermi sulla operazione fonico-verbale-dinamica di Stockhausen. Per tutte queste esperienze ancor oggi assolutamente innovative parli di emersione dell’inconscio . Persino nella sua sonora valenza pubblica e rappresentativa. In qualche modo teatrale. La poesia al di là della silente lettura trova la via della poesia sonora , poesia del silente ascolto e della rappresentazione in cui entra in campo anche la prepotente valenza corporale, come ho già notato, (al di là della danza citi alcuni autori sempre attivi quali Fontana, Minarelli, Lora-Totino, e Spatola da non molto scomparso.). E il richiamo al Futurismo e a Schwitters è d’obbligo.

Ora meno coerente e il rapporto suono, parola, poesia: ci sono alcune importanti iniziative per altro (fra le quali Milano cosa promossa e diretta dal poeta Adam Vaccaro) volenterosamente vissute dai poeti, assai poco dai musicisti. Personali esperienze nel rapporto-musica-poesia nomini le tue stesse creazioni. Con Sanguineti, Porta, Milli Graffi, Costa, Sanesi, Oldani, Quintavalla, e con molti altri ai quali dedichi un capitolo affollato che qui non posso riassumere (anche perché dalla parte della poesia i testi citati non sono sempre del tutto attraenti). Ma già riveli una certa ripresa (seppure per lo più a livello concertistico spettacolare), grazie proprio all’intenso tuo lavoro compositivo da te rivolto verso il connubio musica e poesia.

L’ultimo capitolo e sostanzialmente dedicato alla cronaca di certi importanti incontri fra musicisti e poeti, a volte produttivi, a volte contraddittori. Nonché, con acuta profondità, anche tecnica oltre che espressiva, alle diverse e insieme comuni proposte dalle due arti. A volte sempre distinte o unite casualmente, a volte impregnate una dall’ipotesi di quella già nominata terza arte. A pagina 341, al di là di questa ipotesi di una terza arte, c’è una affermazione che non condivido del tutto: “… la poesia e apollinea e comprensibile… la musica è invece dionisiaca, segreta, esplorativa…”. Forse mi perdonerai ma mi pare che tu trascuri alcuni testi poetici recenti ben più vicini alla musica che al ‘discorso comprensibile’, comprensibile anche se apparentemente astratto. Ma non è questa l’occasione per approfondire l’analisi sui testi. Su certi testi composti negli ultimi anni – non postmoderni né tanto meno neoromantici.

Aggiungo e mi scuso ancora con te, che hai portato avanti un discorso critico storico di grande qualità formale e contenutistica. Devo riconoscere che hai aperto anche una via che forse è qui, se non erro, un poco trascurata: il tema del silenzio (anche al di là delle concrete e famose invenzioni di Cage). Il silenzio in poesia e in musica. Ma se ne parlerà un’altra volta.

(Scritta a Giuliano Zosi in occasione dell’uscita del saggio “Musica/Poesia”. Ed. Sedizioni, Milano, 2014)