Gio Ferri
56 Biennale d’Arte Venezia 2015
Voci Spazi Resti


Al Presidente          
Paolo Baratta           

Al Direttore              
Andrea Del Mercato


56 Biennale d’Arte Venezia

Certamente la Biennale Veneziana, anche quest’anno, 2015, è una ‘grande fiera’ (ora c’è anche una giostra’!) che può essere goduta appunto come una kermesse fantasiosa e divertente, all’Arsenale, e soprattutto ai vecchi piacevolissimi Giardini.

Abbiamo ascoltato qui e là i visitatori delle diverse nazioni - una grande massa di non specialisti - ed è venuta a galla (dalla laguna?!) una idea di confusione piuttosto che una novità di con-fusione. E lo abbiamo notato diverse volte in passato, in particolare nell’ultimo decennio. Vogliamo dire che le visite vengono portate avanti (tra stanchezze innominabili per eccesso ingiustificato di quantità!) soffermandosi, come è sempre avvenuto in una qualsiasi galleria espositiva, su di un singolo autore, o su una singola opera. Quasi sempre appunto ‘singole’. Crediamo che così com’è, nel suo disordine, aumentato nell’ultimo decennio, sia impossibile attirare una comprensione intelligente e cosciente del pubblico.

Forse la Biennale, specialmente all’Arsenale, va guardata e considerata invece come un’’unica’ grande avventura indistinta, e perciò anche coinvolgente in un caos albale, se vogliamo. La continua nascita di un universo assolutamente, appunto, con-fuso, tutto ancora in attesa di un Fiat demiurgico. Ma dov’è il demiurgo?

Che sia giunto il tempo di rinnovare struttura, proposte, suggerimenti? Scoperte, vere innovative per mezzi e idee? Per esempio – - se n’era parlato non molto tempo fa, ma non se n’è fatto alcunché, forse per ragioni economiche – prevedere una Biennale permanente e non solo stagionale, in cui ospitare grandi mostre di singoli artisti, o di singoli gruppi in qualche modo dalle idee coerenti seppure articolate diversamente.… Nel mondo attuale dell’arte singoli artisti attualissimi di valore innovativo e qualitativo non mancano, anche se sovente dimenticati, e i gruppi non esistono più, salvo individuare più di una personalità creativa dalle idee e dai mezzi coerenti e anche tecnologicamente innovativi. C’è stata in un non lontano passato qualche suggestione sorretta dai meccanismi elettronico-virtuali - ricordiamo fra l’altro invece il titolo di quest’anno, intenzionale ma del tutto trascurato: ALL THE WORLD’S FUTURES.

Indimenticabili invece, per esempio, il grande pannello con figure più che naturali ‘vive’ in perpetuo lento metafisico movimento (la visita di Elisabetta a Maria dopo l’annunciazione) del padiglione USA di qualche Biennale fa, e, con simili modalità tecnologico-espressive (assolutamente coinvolgenti) le fascinose teatrali storie mitiche della Russia e della Cina (allora fuori Giardini): ma poi di queste esperienze non si è offerto al visitatore niente più …..

Vogliamo dire che andiamo ben oltre attraverso il ‘2000, ricchissimo di possibilità, accolte dal cinema, dagli effetti speciali, dai programmi computerizzati che ormai sono conosciuti e gestiti, sovente, anche dai bambini … Quindi è decisamente demotivante una Biennale rivolta al Futuro fatta di stracci!!

Ovviamente non è tutto da trascurare anche quest’anno qualche espressivo mucchio di stracci… Per esempio gli accumuli di bandiere stracciate, appunto, della Serbia che ricordano le secolari disgrazie dei Balcani, dove mai si è saputo dar vita a Stato alcuno, dove ci si è sempre barbaramente espressi fino all’altro ieri attraverso guerre divenute infine addirittura ‘mondiali’. ..

Impressionanti e favolose le mastodontiche Fenici assemblate sapientemente sfruttando resti industriali dai cinesi, all’Arsenale.

Fantasiosa e insieme metafisica la scoperta dello spazio vuoto del padiglione austriaco oltre canale. “Non c’è nulla da vedere” dice il visitatore (che magari ha giustamente sottovalutato il modesto meteorite, unica presenza appesa senza evidenza al soffitto): invece, soffermandoci (ci si può anche sedere… rara concessione!) con calma e attenzione si può vivere il vuoto, raccontato fantasmaticamente solo dalla luce naturale che attraversa le sale dall’entrata al giardino. Il Vuoto, il Nulla: gli Spazi recepiti dalla mente e dal proprio corpo isolato e solo (sedendo e mirando) sono qui la concreta sebbene onirica valenza della nostra caduca presenza.

Vuoto è anche un immenso hangar in disuso alla fine delle sale dell’Arsenale: non c’è alcunché da vedere… ma tutto da sentire…: centinaia di voci in diverse lingue (perciò per i più incomprensibili di senso prammatico) si sovrappongono all’infinito creando una atmosfera straordinariamente…. universale. L’universo pur vive e si con-fonde nel segno insensato della tragedia e della speranza: l’eco forse della galassia, quel suono vocale indistinto che ci fa scoprire nuovi mondi oltre ogni dismisura. L’avventura, infine, della parola poetica, oggi.

Il Padiglione Italia quest’anno offre un senso di pulizia… Ma è questa la novità ed è questo quel Futuro? Qui, come in qualche altro angolo dell’intera Biennale si possono ammirare singole sculture costruite (cubisticamente?) da resti della lavorazione industriale.

Ma purtroppo, in giro per i Giardini e per l’Arsenale, si resta allibiti dalla insulsaggine di certi oggetti o macrooggetti: gli Alberi che camminano… Vecchie, epigone idiozie della pubblicità televisiva!

E poi… fotografie, fotografie, fotografie… Centinaia e centinaia inguardabili con attenzione massificate come sono… Ormai è un vizio (per una facile e poco costosa esposizione) che la Biennale d’Arte coltiva da troppi anni. Vero è che la fotografia è pure un’arte: ma troppo sovente, a causa della insopportabile quantità, si presenta solo come una banale ripresa di rotocalchi assolutamente non significativi dal punto di vista creativo. Che dire d’altro? Possiamo solo sperare in quel (illusorio?) WORLD’S FUTURES…