Lucia Boni
Lembi e le sette chiese”, La Carmellina ed., Ferrara 2016

Lesa sul Lago Maggiore, 17 agosto 2016

Carissima Boni,
grazie di “Lembi” che sto sfogliando con ammirato interesse, sia con riferimento ai testi poetici, sia per le splenide opere grafiche di Paolo Volta alle quali, insieme all’amore per Ferrara, si ispirano le tue poesie. O se vogliamo, come per Volta, le tue visioni: perché per entrambi appunto questo volume testimonia di una visionarietà che va ben oltre ogni racconto localistico

Mi riprometto di proporre a “Testuale 59” (ora stiamo lavorando al 58 che uscirà in autunno) questa mia breve recensione. Nel frattempo leggila in allegato all’email che qui ti spedisco.

Al servizio dei lettori della rubrica Letterale, abitualmente prevista in “Testuale”, è impossibile non riportare qui la tua premessa e una preziosa indicazione del prefatore Carlo Bassi: «…la raccolta è composta di testi scritti nel tempo di circa un decenio, in diverse occasioni, la prima delle quali è sta una mostra di Paolo Volta a Ferrara, alla quale ho ‘rubato’ il titolo. La città che visito e percorro è in effetti tanto la città fisica quanto i lembi di spazio, i luoghi interpretati e portati sulle tele di Paolo, le mie parole, le mie ‘allucinazioni’ spesso hanno i suoi colori… ».

Io noterei, fuse in quei colori, anche le prospettive pittoriche disarticolate nella obliquità insistita, di impressionante esplosione espressionistica. E vedremo come la tua poesia risponda a queste sognanti, allucinanti visioni anche di parola.

Chiarificatrice è la lettura acuta e fortemente propositiva di di Carlo Bassi, in particolare quando segnala:

«…È non senza un profondo significato che quei ‘lembi’ siano frammenti di pitture quindi in un certo senso già poesia essi stessi… per la scelta e il taglio che Lucia ha deciso di operare su di essi per affabulazione… È un illuminante e reciproco travaso che Gaston Bachelard, il nume tutelare di Lucia, avrebbe approvato perché è un passato che si fa presente, chesi radica nell’anima con il suo carico di sogni infiniti…».

Frammenti di pitture, segni, parole spaziali, secondo il detto di Bachelard, appunto, riportato nel tuo libro: «Bisogna amare lo spazio per descriverlo minuziosamente come se vi fossero molecole di mondo».

L’ombra e la luce dialogano nella tua poesia sviluppate in ossimori, lembi di lembi, resti di presenze assenti, fantasmatiche, appunto visionarie: confini tra i resti del passato rivolti al presente coinvolto:

sto qui


ritta in mezzo alla via di
sole
scusa per proiezione d’ombra
solo

cala

piccola si adatta sotto i piedi ma senza
pena
poi di scatto si alza verticale
viva
si appoggia piano sopra il davanzale
spezza
la linea dei contorni in-
certa


sale


mentre
il sole che si abbassa piano
apre ad

un’altra già diversa
ombra

La dominante di versi binari insistiti per asindeto, fino alla spezzatura di in-certa, ritmano ossessivamente, pur nella calma del silenzio umbratile, l’ambiguità criptica tra una… in-certa, per l’appunto, narrazione scenografica, e una assunzione di una diversa ombra: quella della mente arricchita di passione e di speranza? L’altra ombra come altro mondo, oltre?

Così l’oltre si dipana costante, sempre daccapo:

d’accapo la mattina

a grovigli

muri d’albe d’inverno
superati ogni giorno al
buio fine che infine
io dipano

e daccapo

Quello che infine si può considerare un poemetto, il dialogo fra luce e ombra, si sviluppa in Sette cantiche (o Chiese, come le intitoli tracciando un itinerario cittadino – in ferrarese coinvolgimento) delle quali una in particolare, “La Parola”, testimonia del valore che al di là dei racconti e dei sentimenti tu attribuisci alla poesia come creazione, e comunione di segno e di parola. Il Fiat… Ecco allora una delle composizioni più propositive, rappresentate, trattandosi di cognizioni interiori e dialettiche, in un dialogismo analitico e rivelatore. Ma questa poesia va letta per intero quale, in qualche modo, una dichiarazione di poetica, o di critica fondativa di una poetica (la tua) o della poetica in generale. Mi limito per il lettore di questa missiva a te diretta a qualche citazione:


parlano e

dal torpore scuotono
ruvide
le parole e dure
quando è filato secco
canapa tessuta a saia

a volte avvolgono di lana
docili e calde

……
altre drappeggiano barocche

……
enfasi ridondanti di volute e velluti

..
ascolta fino a svelarne il soff

……
e ti risvegli

sulle lenzuola
candide camminano
più fini delle garze
le parole di lino

alzate a bassa voce
senza orpelli e finzioni
tra le lame di luce

Queste visioni si esprimono in composizioni lunghe dialetticamente orchestrate (sinfoniche)
In cantiche quali
Il catasto dei passi concludi sui contorni delle cose fino a svelarne / il soffio
/ dove nasce e già in questo appagata si / disperde…
Tra colpa e purezza, tra ombra e luce ancora, incontri e percorri:

……
sette le chiese sette i passi sette strade ritorte
sette maledizioni sette
pentimenti sette senza le scarpe sette di stracci
sette accucciati in un cartone
persi sette ritrovati
arriva il sole a lembi sui lati bassi delle case
le porte nere d’ombra che si fanno
bocca sete di bianco
latte sulla pelle (scalza svestita limpida
mi trovi)

Una raccolta, o poemetto, questa, ricca e complessa, che richiederà al lettore attenzione e partecipazione estetica e ancora etica.