Adele Desideri
La figlia della memoria (Ed.Moretti & Vitali, Bergamo 2016
 
Cara Adele, 
la ‘memoria’ di Andreina, protagonista di questo tuo romanzo, è decisamente coinvolgente. Davide Rondoni nella sua acuta prefazione dice di “un lettore che giungerà alla fine del romanzo – e una volta aperto ci si arriva…”. È vero: ci si arriva trascinati da un accumulo di persone, di fatti che vanno dall’infanzia, dalla giovinezza, alla maturità e infine alla inaspettata vocazione monacale, amorevole e insieme fortemente intellettuale (le citazioni intimamente vissute di Edith Stein, Giovanni della Croce, della Bibbia… ne fanno fede). 
 
Per inciso, scusami, mi permetto di cogliere una certa ingenuità nelle premesse e nella accettazione della vocazione: i deliri, la droga, il tentato suicidio, gli incubi onirici…le ovvie consolazioni del confessore… Ma se di ingenuità si tratta è oggettivamente coerente con l’atteggiamento ancora infantile (malgrado l’età ormai matura) di Andreina. 
 
Tuttavia, ritornando alla osservazione di Rondoni, e precedendo l’avvicendarsi dei sentimenti e delle soluzioni finali (etiche e definitive) vorrei notare che non siamo di fronte ad una stretta suggestione narrativa secondo la quale il lettore, quando sia coinvolto, si chiede sempre: “Come andrà a  finire?”. Le vicende infine sono con i loro innumerevoli personaggi - ovviamente non ci sarebbe racconto se non si proponesse un susseguirsi di vicende e di protagonisti. Ma per citare ancora l’avvertimento del prefatore, qui “la storia non ha apparentemente svolgimento…” -  assenza di uno svolgimento lineare, aggiungerei, e quindi temporalmente storico, secondo le logiche classiche della narrazione.
 
Di contro il racconto giocato per l’appunto sulla psicologia della memoria (non a caso Andreina rammenta la giovanile esperienza analitica – Freud…Jung) ha la  caratteristica con-fusa della partenza e del ritorno alternantisi, della iterazione temporale e memoriale (Frye). E persino, per stare alla vita di Andreina, con i suoi, tormenti, le sue paure, le sue maturazioni anche sessuali  e le liberazioni dalle imposizioni della società, o meglio in questo caso del gruppo familiare (è una sorta di ‘saga’), potremmo ricordare (forse con una troppo facile approssimazione) il concetto di “persecuzione della figliastra” di Propp. Tutta materia retorico-stilistica che andrebbe naturalmente approfondita – rivelandone nel caso concreto (vita di Andreina) coincidenze e contraddizioni.
 
Queste mie osservazioni di passata, seppur in qualche modo superficiali, la dicono comunque lunga sulla originale natura stessa di questa opera tua. Poiché infine (ancora Frye) le vicende e le conclusioni di una qualsiasi vita sono, di massima sempre le stesse (viaggio con i suoi pericoli, conflitto-agòn,  páthos, vittoria o morte) il racconto, ripeto, si distingue essenzialmente per lo stile della narrazione.
 
E questo tuo romanzo, perciò, oltre al significato etico, vitale, psicologico della storia e delle molte storie raccontate (ovviamente fascinose per il piacere di leggerle), si distingue conseguentemente per le generali intrinseche ragioni del narrato, per il tuo originalissimo stile: scrittura mai contorta (malgrado le difficoltà diverse degli eventi), svolgimento a-lineare, rimandi dialettici, verità e passionalità del dettato. Unica felice dismisura è l’intercalare toscano, ricco di suggestioni letterarie… anche dantesche e popolari – come riconosce  la stessa Andreina. Un altro autore mi viene in mente: Gadda. Ma vorrei dire persino Machiavelli!
 
Molti passi inoltre andrebbero citati, per cogliere in particolare il senso di quella rivelazione che giustificherà il finale della storia:
 
“… Tutto era vanità. Tutto quanto avevo vissuto, patito, sperato, pensato, tutto quanto andavo cercando di ricostruire – con timore, con fatica – era solo un’apparenza… A quale certezza avrei ancora potuto credere? Eppure io c’ero, esistevo. E volevo amare, volevo vivere. Questo era quanto di più sicuro custodivo nel mio animo. Anche se continuavo a dubitare…”.

 Ma per tornare al tuo stile prestato alla storia di Andreina, ritengo utile per il lettore questa citazione che è per te una dichiarazione di poetica che conferma il risultato della proposta scritturale che ci offri:
 
“Ho cominciato, intanto, a conservare con cura i miei appunti di lettura… Trovavo riflessioni dell’epoca adolescenziale, accenni di poesia. Mentre rileggevo le mie glosse scrivevo… Sempre più vivace diventava la mia penna, sempre più lirica la tonalità delle frasi che andavo annotando. Mi sentivo spinta da una misteriosa forza interiore, sollecitavo assonanze e chiasmi, modulavo accenti e ritmi, creavo brevi versi, singhiozzati, scarni… E poi, in seguito, allungavo la forma, distendevo con morbidezza le strofe, sul tracciato di una semplice riga di quaderno. Infine ritornavo da capo a riprendere i temi, per temperare le asperità linguistiche, ravvivare le intuizioni, dare rilievo a quanto avevo appena alluso, per elidere il sovrappiù…”.

 Se il racconto non è lineare, lineare è la sua qualità scritturale.