Luciano Fusi
ATOMO”
Immagini Paolo Grigò
Ed. DGS, Pontedera (Pisa), 2016


Caro Fusi,

sto leggendo la tua raccolta di poesie, e gustando gli interventi grafici labirintici di Paolo Grigò. Labirintiche sono pure alcune delle tue composizioni, a fronte di testi in un certo senso più lirici e lineari, ma altrettanto personali e pregnanti. Va detto comunque che in tutti emerge, oltre i valori di scrittura, una convinzione etica umanissima di forte valenza in quanto derivata dalla ricerca della ragione primigenia che viene dal sogno (titolo di una tua composizione) per ascoltare solinga (ossimoro) una primitiva atomistica infinitezza e giungere alla conoscenza di sé e delle cose che ci parlano e amorevolmente ci tormentano nel buio della mente. Altro ossimoro, una sorta di antitesi che predomina in alcuni tuoi versi la contraddizione e la speranza del vivere, e del poetare. Del fare (poiéin) per essere.


Fra gli esemplari più significativi segnalo Il finto “dio”:

Le cose ci odiano
e ci inseguono
umiliando lo sguardo
che un giorno ci donò la corsa
e la sopravvivenza
posandosi sulla debole mano
distesa sulla pelle delle lontane terre.


La scrittura lapidaria esalta il dono e insieme l’odioso inseguimento delle cose che pur gratificandoci, forzandoci alla sopravvivenza si posano sulla debole mano quasi a costringerci a smisurarci, ad essere con violenza pur nella dismisura di una pelle che si distende sull’ignoto, Il corpo presente al finto “Dio” lontano.

Già in una pagina precedente si spazia fra il volo sognante e il grido angosciato, esplosivo, della conoscenza dell’ atomo-dio. L’ombra paurosa e seppure invisibile ci toglie ogni possibilità di quiete ancorché sommessa:


forma della notte
concentrazione di braccia
in preghiera laica attorno all’atomo-dio
che lontanamente esplose.
Sommessamente il respiro
mi si strozza nelle vene.
Nessuno vede l’ombra.


La struttura metrica è irregolare ma risponde sempre a contrapposizioni tra l’Io e le cose. L’andar insistente, appunto, per lapidari enjambements, per spezzature, ascolta un respiro strozzato che nega in realtà il piacere del ritmo. Oltre invece la ritmica implorazione della mille mani disegnate accanto, fra oscuri astratti timori, da Grigò (una delle sue illustrazioni più coinvolgenti).


Il senso di Toccare l’aria, il sogno sacrale, ispira e completa la scenografia dello stesso Grigò. In una pur breve composizione, questa volta dal sapore appagante, sacrale appunto e quasi idilliaco:


Fili di mani oblunghe
nel senso dei giorni
toccano l’aria che respira
Aria che degli uomini avvolge
le sacre scritture delle anime
Aria di corpi che girano
salendo la collina.


La poesia più lunga fra quelle di questa raccolta s’intitola appunto “Poesia” ed esprime una sequenza di definizioni della poesia tout-court, in tono forse vagamente predicatorio ma convincente. Si legga l’incipit:


Ê la congiunzione
della terra all’immensità del cosmo.
Ê l’uomo che cerca il divino. . .

. . . . . .

Infine una cosciente e passionale dichiarazione di poetica.


Gio Ferri