Note redazionali


1.Memorie


Il 9 aprile 2017 ci ha lasciati Giorgio Bàrberi Squarotti. Amico prezioso e Maestro anche di “Testuale”.

Storico, Critico, Poeta. Ordinario di Storia della letteratura moderna e contemporanea all’Università di Torino. Innumerevoli i saggi, primo fra tutti, lo “Stile di Giordano Bruno” con il quale si laureò a Torino nel 1958. Direttore della Redazione del “Grande Dizionario della Lingua Italiana Salvatore Battaglia”, opera in venti volumi che la nostra rivista ebbe l’onore e il piacere di ricevere in dono dalla Redazione in occasione del Premio UTET per una poesia e una critica fondate sulla ricerca letteraria contemporanea.

Il nostro rimpianto è grande poiché l’opera di Bàrberi Squarotti insieme ci dona, ma anche ci lascia orfani di una sapienza rara nell’ambito della nostra letteratura dal Pascoli all’attuale ricerca.

Uno dei più recenti saggi, editi e inediti, “Fine dell’idilio, Da Dante al Marino” (Il Melangolo edizioni di Genova) da Dante al Petrarca, dall’Ariosto al Berni, al Tasso, ha un pregio oltre la valenza storico-critica che ci piace sottolineare in nome di una presenza etica e filosofica che troviamo all’interno di una analisi stilistica e poetica della “Gerusalemme liberata” nella vicenda di Tancredi e Clorinda:

«… Lo spazio dell’Idilio, ove non sia quello separato per esclusive ragioni sociologiche (la “povertà vile e negletta”) dal luogo della storia e della guerra, che si è, in realtà, allargato geograficamente tanto da non ammettere più nulla fuori di sé, se non appunto, in senso ideale e non reale, è occupato dal demoniaco, cioè è esattamente capovolto nelle ragioni e nelle funzioni, e nei caratteri, e, correlativamente è aperto alla violenza e alle armi, alle asce dei costruttori di macchine per l’assedio come alla spada di Tancredi o all’audacia di Alcasto. Se ricompare al di là della guerra e della violenza, sarà possibile soltanto per una separazione che è ancora più radicale di quella sociologica del buon vecchio pastore, che ospita Erminia fuggitiva: quella della magia: e, allora l’Idilio si porrà come autentica alternativa totale alla guerra, ma quanto mai fragile e precaria, e il segno sotto cui sarà posto sarà proprio quello dell’inevitabile istantaneità della pace e del piacere che esso offre, combattuto com’è dal tempo (cioè, dalla storia, così come dalla società e dalla storia è stato distrutto lo stato felice dell’età dell’oro)…»



2. Memorie

Adriano Spatola è morto nel 1988. Tutti ben lo conosciamo come uno dei più prestigiosi ‘scrittori (detto in senso lato) del Secondo Novecento: sodale, se non fondatore, delle Neoavanguardie degli anni Sessanta del secolo scorso. Di lui, molti di noi, possono dire d’averlo avvicinato e seguito per decenni coinvolti dalla sua vitalità e dalla sua estrema capacità di invenzione, anche spettacolare oltre che letteraria: poeta visivo, performer. Poeta della voce, perciò, intendendolo ad alto livello, poeta di piazza, radiofonico, televisivo. Editore, trascinatore al Mulino di Bazzano dei gruppi dalla più dirompente capacità sperimentale, insieme alla splendida compagna e scrittrice Giulia Nicolai. Fondatore di riviste quali, tra le altre, TAM TAM e “Quindici”... Tuttavia, forse, meno conosciuto se non dagli specialisti, quale poeta lineare (come si suol dire per distinguerlo, con i suoi produttivi amici, dai poeti visivi). La sua poesia è fortemente criptica, asintattica, in cui le parole si pongono non tanto come oggetti legati da un filo armonico, quanto come ‘impressioni’ sovente illogiche il cui essenziale valore, a nostro avviso, sta nella proposta frammentata offerta al lettore che leggerà i versi elaborando in sé altre, infinite combinazioni, memorie, auto rivelazioni. Condizioni psicologiche che possono emergere dal personale profondo.

La più completa antologia dei suoi Poems è quella curata e tradotta in inglese da Paul Vangelisti, edita nel 1988-1992 da “Green Integer” di Los Angeles. Per i lettori di “Testuale” riportiamo qui alcuni testi:

1961

Sì, l’ho scritta la tua storia: il manoscritto
l’ha mangiato un cane, nel mezzo della guerra.
Poi la carestia.
Si ripete la beffa del pezzo di re
se certo non un mendicante ma un bambino ebreo
s’è cibato del cane gonfio della carta.

Certo non un mendicante, ma un bambino ebreo
si è cibato del cane gonfio della carta:
e ritrovare adesso la tua storia, chi può farlo?
Quando lo vennero a prendere
me ne stavo nascosto in cantina
non ho potuto vedere la targa né la direzione.
Quelli si sono portati lontano la tua storia:
e ritrovarle adesso chi può farlo?

Mio buon amico, io stavo nascosto in cantina,
di loro ricordo soltanto il colore degli stivali
Non li ho visti, non saprei riconoscerli
(E poi, tanto tempo è passato:
tutti i miei amori e l’ultimo Pont Mirabeau
se li è digeriti la Senna).


1966
tram batte nella notte occhiuta lingua trappola che scatta
in isola fagocitata deimon parola che si strappa
e kerosene e fiato (distillazione) e assenza brevettata
incapsulando e incollonati e nudi col marchio sulla faccia
ma tu ossida rogna le scaglie della pelle che si sfoglia
che neve formaggio grattugiato viene giù nel vento

girare la nave su se stessa gettarsi nel buco nell’acqua
e pesci a scalare gli scogli pinne che cercano appigli
il vecchio senza figli l’ultimo dei vivi si masturba e guarda
rossa striata e palpitante la specie che si estingue
nudo pingue canuto senza pelle lambito dalle onde si masturba
alghe meduse plancton sulla lingua fra i denti sugli occhiali
e cicli mestruali delle orbite vuote flaccide dietro le lenti

1971

MAJAKOVSKIIIIIIIIJ

1

un aggettivo la respirazione la finestra aperta
l’esatta dimensione dell’innesto nel fruscio della pagina
oppure guarda come il testo si serve del corpo
guarda come l’opera e cosmica e biologica e logica
nelle voci notturne nelle aurorali esplosioni
nel gracidare graffiare piallare od accendere
qui sotto il cielo pastoso che impiastra le dita
parole che parlano

2

si rivolge alla notte le grida di rallentare
dalla finestra o esistenza è il cerchio è lo spazio
è ritmico altalenare arpione che sfiora le labbra

gesti di bronzo camera oscura segno lasciato dall’acqua
incorniciata gelida faccia ipocrita polvere ipnosi

guarda ma guarda come la negazione modifica il testo
con parole impossibili
…………….


7.

fra poco nel testo avrà inizio la parola finale
catalogo di manierismi e di stupri canzone e nascosi
sul calendario segnare con la matita la data della consegna
un verbo è il parassita il narciso la rabbia sottocutanea
ma guarda come la macchina mastica e schiuma e riscalda
la musica sale la mano corregge la luci si abbassa
più bassa la testa allarga le braccia non chiudere gli occhi
cancella quella parola

1975


                                                                        a Giulia Nicolai

L’isola è protetta dall’astensione dal vuoto
della stiva negata al carico imponderabile
di una terra che naviga abolendo la rotta
del cargo azzerato dal racconto di un viaggio
intrapreso e interrotto dal sole sul quadrante
della mente smantellata secondo ragione.

George Seurat
Grande Jatte
La meraviglia il senso degli oggetti laccati
ìnchiavardati misurati truccati nell’orologio
generosa felice natura penitenza ombra
che il sole sbandato ricuce sulle foglie
calzoni cappelli ombrelli e gonne e guanti
la collera affoga sospirando il gemito risuona
sulla parete decorata e vuota sulla bilancia
gorgo smagliato secco smaltato gongorismo
congenito alla sete alla cupa stupefazione
o meraviglia o senso degli oggetti laccat
i.

Jacques Villon
Fattoria normanna
L’equilibrio non la miseria delle parabole
scanalate amputate dallo stillicidio furioso
di un settembre assopito l’anestetico blando
nel carezzevole gioco di stilizzare stesure
nella presenza del nero predicato alla porta
della pianura asservita alla cabala dell’orizzonte
all’immanenza sensibile del profilo in rilevo

di portico stalla granaio steccato tetto e cortile
in lastricata misura in assestata chiarezza
l’equilibrio non la miseria delle parabole.

Carlo Carrà
Natura morta metafisica
L’ostacolo l’imbastitura dello schema del mondo
la traccia sprofondata nel gesso il giardino invetriato
sotto luce da plenilunio sotto cieli inquadrati
dall’ortogonia della stanza dal disappunto
nel gorgogliare spaesato nel rostro addormentato
schiacciato avvizzito curioso dentato intagliato
deposito di amori e di orrori di mete e strumenti
merletto di dolceamara memoria di rigi sogni
tra i resti di un cibo ossidato di un’ossea natura
l’ostacolo l’imbastitura dello schema del mondo
.


Giorgio Morandi
Natura morta con cactus
Le unghie le dita la molle solidità della cera
la forma dell’astinenza la monodia nutritiva
dello specchio asciugato dal colore plasmato
nell’origine chiusa e remota del gesto orgoglioso
stampigliato sulla porosa sull’ibrida ponderatezza
sul vaso di terracotta sull’animale spinoso
incastrato dentro i ricordi dentro la monomania
nel delirio sabbioso nella sedicente purezza
se è la vita che parla quando torna a bussare
alle unghie alle dita alla molle solidità della cera.

1982

Antiche e moderne forme di menzogna
1.
Similitudine si chiama un cassetto aperto
un parallelopipedo disposto a scivolare
verso quaderni di scuola e maestre
fotografie bagnate di rugiada e saliva
sabbia bruciata con in fondo il mare
grigio foglio di carta stropicciato
dal vento dal sale dal veleno esperto.

2 Similitudine è una lontana oscurità
con luci da letto in camere intarsiate
da squame azzurre su pareti ombreggiate
ricordi tropicali bibite zuccherose
scarabei e insetti onnivori ciechi
sul comodino dentro disegni di rose
impersonali sfatte e un po’ magnetizzate

…………………………………………….

1992

LA DEFINIZIONE DEL PREZZO

Molto poesia per
                                                                            LucianoAnceschi
Straparlare è difficile ma comodo e difficile
l’arte è cubista costruttivista o dada
futurista surrealista immaginosa o folle
ci sono suprematisti e rivoluzioni datate
ma la grafica della mente non è cambiata
mutata snaturata forse numerata per ioni
è un dizionario un abbecedario un fragore
qualcosa di vecchio quanto il mondo sensato
la sua storia di linguaggi di linguaggi sensati
questi sono accomodamenti grosse semplificazioni
sono tradizioni costumi manie superstizioni
la vecchia parola della poesia cominciò domani
con sentimenti pensieri desideri inclinazioni
la stiamo scrivendo descrivendo decrittando
la scrittura ha bisogno di una mano contando
di una voce messa in mezzo all’albero delle voci
immagini di un maestro o immagini di un maestro
la sua lontananza la sua vicinanza o cordialità



3. Memorie

Giacinto Scelsi nato a La Spezia nel 1905, scomparso a Roma nel 1998. Compositore nel panorama della musica contemporanea. Eccentrico e riservato, filosofo, poeta, oltre, naturalmente, che musicista, compositore e direttore ebbe importanti relazioni nel campo della musica con diversi compositori suoi coetanei quali, fra i moltissimi altri, Jhon Cage, Jean Cocteau, Severino Gazzelloni, Nikita Magalov, Henri Michaux, Quirino Principe, Sylvano Bussotti, Virginia Woolf. Furono dati alle stampe postumi per sua volontà due volumi autobiografici “Il sogno 101” e “Il ritorno”, pubblicati di recente da “Edizioni Quodlibet, Macerata, 2010”.

Dal poemetto “Il sogno 101. Seconda parte. Il ritorno” :



Ora sei solo con te stesso e con Dio”
Ora?
Non c’è più Ora.
Se non c’è più Ora
E’ sempre Ora.
Quindi
Il tempo è senza tempo
Com’è che il corpo può essere

                                                senza tempo?
Ma
È veramente ora il mio corpo
oppure penso che ho il corpo?
Allora
forse io credo che penso.
Ma se credo che penso
Qualcosa c’è
che non è
                                               il corpo che pensa.

E ciò che pensa
non è nel tempo
allora forse non penso
e non c’è il corpo.
Ma qualcosa c’è
e non è nel tempo.
Già
Non sono nel tempo.
Ora lo so.
Oppure non conosco questo tempo
che non è il mio del corpo
né della mente.

Già
mi muovo senza peso.
Però
I movimenti sono nel tempo.
Ma neanche
perché i movimenti li vedo

fuori

non dentro di me.
Non li controllo
come prima
dipendono da attrazioni
di fuori.
Sono tirati da me
non provengono da me.
Ora

questa mano si muove

lentissima
e quest’altra
veloce.
No, è una sola mano
sembravano due.
Forse è una
riflessa.
Ora c’è la luce dietro
che avanza.
Era quella che vidi davanti.
E’ la stessa.
Sono voltato
        vediamo se mi posso girare.
e si avvicinano tutte.

Ora queste luci si uniscono
formano un cerchio
ma restano distinte
come nodi di una corda.
Ora girano
o sono io che giro?

………………………………………..