Rosa Pierno

I possibili rapporti tra testo e immagine nel libro d’artista


Già nel 1969, Michel Butor col suo Le parole nella pittura, Arsenale, 1987, aveva lanciato quest'amo per attrarre l’attenzione su un tema che sembrava abbandonato e che è ora, invece, particolarmente in ripresa: "Ut pictura poesia. In passato si diceva che i poeti dipingono con le parole, anche i pittori lo possono fare".

Prima d’introdurre il mio punto di vista sulla relazione parola e immagine, e in particolare sulla loro relazione all’interno del libro d’artista, voglio sgombrare il campo da inutili zavorre che non contribuiscono a fare chiarezza su tale relazione: le arti sono diverse l’una dall’altra per la “diversità strutturale tra i vari mezzi espressivi” (Gaetano Della Volpe) cosicché è necessario riconoscere la “non-convertibilità o intraducibilità di un genere nell’altro”. Se dunque esse sono diverse, nessuna traduzione è possibile e questo risolve a monte il tentativo di cercare equivalenze.

Ecco la serie di domande a cui vorrei fornire una risposta: un’arte può nutrire un’altra arte? È possibile tradurre un’immagine in un testo? O, meglio, è corretto pensare che ciò sia possibile? Se fosse possibile, verrebbe a cadere proprio l’assunto che non vi sia traducibilità. Mentre, chiunque tenti di distruggere la materialità dell’opera, la sua reale concretezza e singolarità (quella forma in quella materia) sta in realtà molto più banalmente riferendosi a concetti del tutto aleatori e indefinibili come l’ispirazione e l’immedesimazione, il che è ovviamente altro dal fornire certezze in merito a dei fatti.

Preciso che qui utilizzerò la categoria “libro d’artista” in una formula indeterminata, che riguarda genericamente un libro in cui siano accostati testo e immagine, senza entrare nel ginepraio delle distinzioni storiche e tecniche.

Il libro d’artista è un'area equilibrata, medium ideale e condiviso terreno per entrambe le categorie di autori: i poeti e gli artisti. È un luogo dove nessuno sembra ospite dell’altro. In questo luogo in cui la parola e l’immagine si fronteggiano, pure, la relazione che si istituisce è ancora esclusivamente visiva: anche il testo diviene figura: prima di essere letto, viene guardato. L'immagine per la vicinanza del testo, dice se stessa, ma anche qualcos'altro, quello che si decifrerà del testo da leggere inevitabilmente ricadrà su di essa.

Il testo, a sua volta, diverrà più leggero, aereo, sarà meno incidente all'interno della pagina. E con tutto ciò non cambieranno gli equilibri delle due forme espressive. Ciascuna insostituibile proprio per la sua specificità. Si dovrà leggere il testo, indagare l'immagine e ricominciare. L'occhio non si stacca dalla carta e compie un continuo viaggio tra testo e figura.

L’ideale è riuscire a realizzare un oggetto nel quale le parole dello scrittore e le immagini dell'artista "reagiscano talmente le une all'altra che la separazione diventi impossibile". Se pure non ci sia alcun obbligo di vedere le due cose come unite e facenti parte di una sola cosa, tuttavia il testo, all'interno della stessa pagina o, meglio, dell'area in cui agisce il disegno, trasforma anche l'immagine e viceversa. Inoltre, intervenire con un testo, in special modo, se esso è scritto a mano, vuol dire per lo scrittore dipingere. Egli, secondo l'esperienza che ne fa lo stesso Butor, si avvicina con cautela e grande concentrazione al fine di non alterare l’equilibrio del disegno. "’Lo scrittore dipinge con le parole’ è un'espressione che adoperiamo sempre, la stessa tradizione, Ut pictura poesia, secondo Orazio; vedete che può voler dire due cose diverse. Può essere presa in modo molto vago o molto preciso a ogni livello. I pittori stessi si sono trovati davanti a questo problema della scrittura”.

I segni iconici sono complessi, sia perché trascinano sempre con sé la memoria di altri segni (così come le parole rimandano ad altri testi) sia perché la citazione in forma di testo rimanda appunto ad altre opere artistiche.

L’arte della memoria è dunque il basilare collante: la memoria dei segni, la memoria delle parole, la memoria delle immagini.

La teoria ut pictura poesis, dicevo, riposa sul primato della vista: il poeta e il pittore pensano entrambi con immagini visive. L’arte della memoria suscita una dimensione in cui il ricordare diventa vedere, dunque i due linguaggi si collegano attraverso un’evocazione per via di immagini. Il testo della letteratura, della cultura come punto di riferimento per la pittura.

Rovesciando la tematica di Butor, Le parole nella pittura, Arsenale, 1987, si parla di pittura nelle parole, ovvero della virtualità che la lingua letteraria possiede di combinarsi con le immagini e di trasformarsi in forme visive, che investendo la sfera del significante producono poi ripercussioni su quella del significato. Giovanna Zaganelli in Dalla lingua all’immagine Lupetti, 1999, ne esplicita tutti gli aspetti: un segno, attraverso la sua rigenerazione in altri sistemi segnici, produce un nuovo segno più complesso in cui il primo trovi una sua migliore ridefinizione e un più pensato posizionamento.

Allora, nell’incontro tra parola e immagine una virtualità iconica interna al sistema verbale viene sprigionata nella esegesi testuale. Ne deriva una duplice operazione di lettura del testo, una che si muove in senso orizzontalmente progressivo, e che segue la linearità dell’enunciato, e un’altra che secondo un più libero principio di costellazione, funge da calamita tra gli elementi che connette, instaurando convivenze circolari tra i segni.

La dimensione figurativa è una delle possibili forme traduttrici del testo di partenza (dalla lingua all’immagine). Le parole scritte in questo modo, coadiuvate dall’immagine, liberano l’esperienza dalle strettoie dell’immediatezza, proiettandola in uno spazio nuovo e generando l’insorgere di altre significazioni.

D’altronde, il termine iconicità già comprende il concetto di figurabilità: quest’ultima è una sorta di virtualità iconico-semantica del sistema verbale, di tipo evocativo, una capacità di attrarre elementi dal mondo delle immagini funzionante durante il processo di interpretazione testuale, mentre per l’altra si intende la visualizzazione che si ottiene quando il modo di pensare per immagini viene trasferito nei fatti verbali.

Quando poi l’immagine entri direttamente nel testo, il concetto di narratività si allarga, come afferma Genette, includendo nel concetto di narratività anche il sistema iconico. Per iconicità grafica s’intende l’effetto prodotto dalla scrittura in quanto materiale alfabetico che alla percezione si manifesta come un fitto mormorio segnico. L’analisi del testo-immagine, da questo punto di vista, ipotizza un duplice movimento di fruizione del testo: gli enunciati linguistici assumono, da un lato, l’aspetto e la funzione di segni-indici che conducono al disegno. Dall’altro lato, il disegno, tende a confondersi con i caratteri grafici fino a sostituirli in un reciproco scambio in quanto grafia e in quanto messaggio. La scrittura osservata in questo senso sembra condividere con il disegno la stessa fonte originaria, in tal modo riflettendo anche le procedure di esecuzione, come una sorta di prolungamento dello strumento e dell’atto grafico: l’inchiostro e i colori hanno una stessa, unica origine, la scrittura continua nel disegno.

Tuttavia, questi sono solo gli effetti della loro interazione, i quali non modificano affatto gli assetti relativi alla specificità delle forme espressive. Qualsiasi sia il legame tra arti visive e scrittura, che l’una generi dall’altra o che ciascuna segua il proprio tema, quel che mai scompare è proprio la loro radicale differenza. Si dicono cose diverse e sono diverse perché un’arte si esprime col linguaggio, un’altra con le immagini.