Boro Pavlović

(Slavonska Požega, 1922 – Duga Resa, 2001)

 

 

PER LA FINESTRA APERTA   (Kroz otvoreni prozor)

le vie pazze corrono per gloriare un arco di trionfo
è l’estate e bisogna saltare da se stessi
                                               per la finestra canora
affinché la via natia porti me pure sulle spalle
                                                           delle maree
attraverso panorami e solitudini ad un orizzonte
                                                    sempre più ricco
            devo temere forse per la salute se la salute
                                                                abbonda
            e un sole vivo gira sull’orlo giallo e moltiplica
            ceste di pane e pesci e vino e pane e vino
            oh annerisce il sole maturo sulla superba
                                                           pelle gonfia
                        devo temere forse per me mentre la città
                                                  dondola di sopra
                        i balconi da tempo sventolano per i cosmi
                                                                       azzurri
                        sulle vie bisbigliano sulle onde frusciano
                        e dondolano festosi diletti agli zefiri
                        come fuoco lento
                                   mentre gli uccelli screziano il cielo
                                               quasi fossero tavolozze

(IGNOTE [prime poesie 1940-1943], 1997)

IL RTRATTO DI VIŠNJA   (Višnjin portret)

Lei ha una mano silenziosa,
elegantemente lunga
con cui fa ondeggiare i tasti delle dita
quasi per rinfrescare i marmi, per curare la tristezza.

La sua chioma è una bandiera
di fieno e di erba
con cui rilancia di mantelli una linea lunga,
nuotando per il verde,
per le strade,
per il boschetto,

con la sua statura seduce la snellezza del venticello
e i pioppi sulla via.

Il suo viso è l’odore di camomilla. La docilità
                                                       di margherita,
così in quel velluto mite
senti i cari petali,
che piacevolmente si rinfrescano
sfogliandosi come alve*
sommergendosi nella piccola lana

– con due fiordalisi d’occhi

e le dita che viaggiano lente.

 

LA NEVE   (Snijeg)

Venni a dirle, a Višnja, che sfavillava la neve.

Il suo occhio ne scintillò pronto
perciò lei mi abbracciò e nei suoi capelli
mi portò in collina.

Nella neve s’aprì subito. Con tanto amore
osservava per via i minuscoli fiocchi –
– compianse che per tanto inverno cadessero soli,
perciò li accolse sulle mani e li fece scaldare.
E al monco cristallo il dolore fu sanato.

Camminammo per il buio, –
ma sotto il fanale si scorsero le orme e lei
                                                  si vergognò
per aver pestato l’anima dei fiocchi con i suoi
                                                           propri passi
e continuò a tastoni affinché svolazzassero
non più toccati.

Rimanemmo sospesi così a lungo come nubi farinose.

Ci setacciò la neve che sminuzzava tutto
e limpidi e più vicini
per quelle tendine ne diventammo.

Fu la neve a purificarci.

 

LA LOCOMOTIVA SI DIVERTE   (Lokomotiva se zabavlja)

In fondo la gente non sa nulla sulla locomotiva
nulla come lei in fondo viva,
che abbia gambe e capelli e una testa di ferro
che possa camminare silenziosa
nella docile e mite erba,

che vada per il fiume e per la strada
che si ostini e ribelli
quando le carrozze sono piene,
quando corre per il bosco vicino
e ciò succede di frequente,
che taccia cocciuta
quando i percorsi la fanno arrabbiare.

Questa locomotiva scoppia di salute,
lei si diverte,
lei lancia i giorni da tutte le parti
e si ferma spettinata

(IL MATTINO IN TRAM, 1955)



* Sg. alva, dolce di tipo orientale a base di pasta sfoglia (diffuso in Bosnia e altrove).torna su