Jure Kaštelan

(Zakučac,* presso Omiš, 1919 - Zagabria, 1990)

 

 

AUTOCRITICA  (Autokritika)

Dovrei parlare di me

(CAVALLO ROSSO, 1940)

 

QUANDO GLI UCCELLI SPARISCONO   (Kad ptice nestaju)

Non mi ricordo più perché per tanti anni ho languito sottoterra, abbandonato, dimenticato, sotto un prato erboso, sotto un salice, perduto o morto. Non so più…

            Ma tu, bambino nudo, tu, anima trasparente, dove sei?

Non indovino più come e quando sono spuntato in questa valle di luce, dove nessuno riesce a riconoscermi, dove non posso vedere nessuno, cieco d’acqua incendiata o di paura folle. Non vedo più…

            E tu, bambino nudo, tu, anima trasparente, lasciami sparire in uno stormo di uccelli, in cinguettio.

 

INCONTRO, INASPETTATO   (Susret, neočekivan)

Nessuno ricorda più il suo nome né conosce la sua sorte. Un mattino innanzi alba è stato falciato da una raffica nel primo anno di guerra. È stato gettato da qualche parte, possa ciò non ripetersi. Imberbe, ancora quasi bambino, metteva insieme le parole nei versi. Li diceva agli alberi. (Oh, se gli alberi, invece di stormire, sapessero pronunciare parole.)

                                   Sparito
                                   Come talpa in terra
                                   come lontra in acqua

                                   Tuffatosi
                                   come pietra
                                   in mare
                                   in gorgo
                                   in turbine
                                   in una profondità selvaggia

Nemmeno io lo cerco più. Solo la campana della Nostra Santa Vergine suona sconsolata nel crepuscolo. Sto appoggiato al muro. E lui s’avvicina: «Scusami, ho tardato un po’… hai aspettato molto?» – Né molto, né poco, dico. Guarda il tramonto, com’è divino. – Preferisco l’aurora, ha detto. – E a me è parso d’averlo detto io a me stesso. Lui è sparito. E a me è parso in quell’incontro d’aver riconosciuto me stesso.

 

IL GALLO NELL'ABBAGLIO!   (Pijetao u bljesku!)

Il mio gallo nell’abbaglio! nel nucleo stesso del sole, oltre
questa luce reale che dall’occhio è vista, splende
nello scorrere delle acque non discernibili

Fuoco vivo! il gallo strappato dal mio cuore
come sono strappato anch’io dall’intento sidereo

Ora lui annuncia l’alba alle corti celesti e a me il silenzio
delle dimore oscure

Ho sognato un sogno, l’unico sogno che lascio

 

LO SCRIGNO   (Škrinja)

Lo scrigno nasconde ciò che discopre. Questo di colore blu scuro con irreali fiori gialli assomiglia ai piccoli, inventati soli sognati. Simile ai tumuli di Poljica.1 Simile agli stećak2 presso la sorgente della Cetina.3 Simile al sarcofago nel delta della Neretva, al quale si abbevera l’unicorno, essere fiabesco, colto di sorpresa, in un momento miracoloso, da un beato mendicante che lo rivelerà poi nell’attimo della sua morte.

Questo scrigno si apre solo in sogno. Allora le isole navigano come nubi. I fiumi scorrono nel cielo incantati dai suoni d’una lira invisibile, nei Balcani attribuita a Orfeo. E così inizia la storia di tutto quello che è nascosto. La chiave di questa storia è nascosta in un’altra storia e così continua e si trasmette incessantemente come il seme della vita che germogliò nel mare.
Lo scrigno discopre ciò che nasconde. Questo di colore blu scuro con fiori gialli. Affondato nel tempo.

 

BIANCA SPOSA, GENIUS LOCI  (Bijela nevjesta, genius loci)

La bora non ha padrone. È lei la sovrana di uccelli e petali primaverili. Con una mano rapisce, con l’altra regala. Il suo viso è invisibile, bora nera, segni folli. Quando manda fumo, non vedi né la bora né il mare, né le spighe né le viti. Tutte le sue banderuole, tutte le sue corde, ogni sua vela, tutti i suoi segni insomma, lei li rompe, spezza, sbatte, porta via. La bora fischia, frange, lacera, sommerge, geme, piange, urla, gesticola, poi parla, impreca, giura… Strappa gli alberi di nave, porta via tetti, dà colpi alle campane, agli organi, alle grotte, ai sepolcri, percuote, rotola i sassi, rimesta la polvere, in profondità, in largo, in alto, assetata tromba d’aria. Quando si lava e si calma, la chiamiamo massaia,4 bianca sposa. È male, se s’imbatte in te sui dirupi, ma peggio ancora: sul mare. Lei lacera e rinnova, restituisce la salute. Lei fa e disfa.
            Si dice: Dacci Dio la piccola bora, e il gran sole.

(QUANDO GLI UCCELLI SPARISCONO,5 in CAVALIERE
ALATO,
antologia poetica, 1991)



* Da leggere Zácuciaz.torna su

1 Da leggere Poglìza, comune nell’ambito dello stato croato medievale, principato e poi repubblica autonoma, a est di Spalato nell’area della montagna Mossor (orig. Mosor). Ebbe uno statuto presubilmente datato al XV secolo. Durante la sua storia movimentata conobbe il potere della Serenissima, lottò audacemente contro quello turco e, dopo una breve parentesi austriaca, finì ribelle sotto la soppressione napoleonica (nel 1807).torna su

2 Tipo di stele antiche: esistono anche in Croazia, oltreché (come si è detto a proposito di Dizdar) in Bosnia-Erzegovina.torna su

3 Da leggere Zètina, già confine del principato di Poljica.torna su

4 Letteralmente: «ordinatrice», (orig. reduša, da red, rediti =«ordine», «ordinare»).torna su

5 Ciclo databile negli avanzati anni ’80.torna su