Vladimir Nazor

(Postire, l’isola di Brač,* 1876 – Zagabria, 1949)

 

DANTE

I

…che qui è buon, con la vela o co’ remi
quantunque può, ciascun pinger sua barca…
(Purg., XII)



Sì, padre Dante! Anch’io dovrei,
Quantunque io possa, con vela e remi
Spinger la mia barca. Ma in cima alla montagna

Me non attende Beatrice. Il Paradiso
Terrestre non c’è sulla vetta nostra.
Né Matelda vi coglie i fiori.

Noi siamo senza paradiso e inferno. – Valle
Paludosa, dove ci urtiamo e alterchiamo,
Privi degli orrori tuoi epici dell’infimo loco.

Nel nostro inferno è più schifosa la puzza
E più pesto il buio, ma non vi passano
Ulisse e Diomede, avvolti di fiamme;

Né il re Capaneo alza la fronte ostinata
In una pioggia-di-fuoco; né dal sepolcro eterno
S’erge dritto e altero Farinata.

Il nostro inferno è privo d’orlo abissale
Su cui stiano i giganti incatenati,
Privo del turbine di passione, da cui più tenace

Francesca s’attacchi al collo dell’amato.
Nero è il nostro inferno e pieno d’ogni lordura,
Ma non vi è, padre Dante, chi dal buio

E dal dolore levi lo spirito al paradiso.

II

Noi non abbiamo un vero inferno – il Lucifero nostro
Non sta sul fondo, tricipite, alato, enorme
Sgretolando coi denti il nudo corpo di Giuda;

Il nostro diavolo è piccino, grigio e bilioso, perfido.
E il nostro inferno è tana fangosa di sciacallo
Senza malebolge, dove urli la folla di peccatori,

Senza malebolge, ponte, e senza la città di Dite
Che cinta di muraglia riflessi vermigli getti
Sulle acque oscure d’un fiume tetro.

Il nano è tentatore, e l’inferno nostro appena il covo
Di belve vili, che mai vedranno
Gerione, mai sentiranno il latrato di Cerbero.

Nel nostro inferno non ci sono che peccatori
Che vissero senza lode e infamia,
Nel male piccoli e nel bene meschini.

Lupi manari, trombettieri e vampiri
Di là vanno cacciando i ladruncoli
Da un angolo all’altro, mentre un branco di schiavi

S’imbratta di melma, da loro stessi rigettata
Nei giorni in cui, incompresa, sterile
La libertà li sovrastò, come una vendetta

Di polline sopra le canne putride.

III

No, padre Dante, non attende alla porta
Del mio purgatorio Catone, modello di virtù
Civili; Sordello non giace come leone,

Pieno d’ira sacra, stringendo in pugno
Le frecce micidiali del suo sarcasmo. – Intorno
Alla montagna della nostra salvezza, non tremola

L’acqua, su cui passi l’angelo nocchiere;
Sotto il cielo, che di stelle non cospargemmo,
La nostra montagna è bassa e l’aria grigia.

Noi non abbiamo paradiso, purché io spieghi
Le vele della mia navicella e tuffi i remi,
All’alto mirando per vedere Iddio.

Il nostro Dio da tempo si disfece e svanì
Oppure si disloca dalla segretezza più silenziosa
Delle nostre profondità. Oppure aspetta che

Un nuovo Lucifero nasca dal nostro male
E scavi l’inferno, affinché Lui, onnipotente
Fabbro, sopra voragini tenebrose faccia sfilare

I cerchi sfolgoranti d’un nuovo paradiso a cui
Ogni nostro male, sempre più puro, salirà,
Finché un giorno, sulla vetta celeste

Risplendano a noi pure gli occhi di Beatrice.

1920

(POESIE DELLA MACCHIA, DALLA
PALUDE E SOPRA I SEMINATI , 1930)

CASA E BANDIERA   (Kuća i zastava)

 

Quando giorni fa verso sera per le vie ornate con vessilli croati (una nuova festa) fui tornato a casa, trovai mia sorella intenta a cucire il nuovo tricolore per la casa paterna in rovina, quella di Brač, da me nemmeno cominciata a riparare! E già: la bandiera anzitutto! E dicono per giunta ch’io non sia un buon croato. Sono tanto croato, che ora, poiché tengo il piccolo vessillo in mano, posso lasciare la casa paterna che continui a crollare.

26. XI. 1935

(SACRO BOSCO,antologia poetica,
1975)


* In it. Brazza.torna su