(Drinovci,* Erzegovina, 1898 – Zagabria, 1925)
Il giorno sta alto sulla neve (e su di me)
La neve si fa azzurra
l’inverno assottiglia i contorni di alberi e case
Mentre per il giorno
per la città i miei passi
disegnano e tracciano e trascinano
lunghe rette
quadrati
ellissi
Ora mi sono fermato
ascolto in me
il frangersi cupo dei miei passi infiniti
risuona dolorosamente un ultimo suono
Il mio volto inclinato verso terra
attende
sul suolo il suo angolo trema ottuso e nero e allungato
Intorno a me
lo spazio azzurro e vuoto continua
a frusciare
Lontano da qualche parte precipitano sfere
Dove sei!?
(«Vijavica», n. 4, febbraio 1919)
Dea della notte
la luna
scese dal cielo
e passo passo giunse alla mia casa
Pian piano montò sul mio davanzale
e abbassò lo sguardo su di me
Mi attira nella notte
Io mi alzo… e il mio volto pallido… sorride
Cammino assonnato sugli orli dei tetti
e passeggio in alto nella notte
– Mi reggono le mani molli della luna –
Oh come sono leggero… ultraterreno… sto sospeso
posso posarmi su una foglia d’albero
Non chiamatemi: la voce terrena
è morte del mio essere celeste
Alto sulla terra vago leggero per le sfere
Dal cielo di ponente
e dalle melograne scoppiate nell’orto
il sangue stilla
Ma dall’oriente la sera appare col viso più azzurro
e più pallido si fa il tramonto, le melograne più rosse
Ti rifugi da me
spaventata dai rami nel buio
e taci
Perché il tuo corpo diventa fiamma improvvisa?
Oh come le melograne scoppiano
e ardono con noi!
Nemmeno le stelle si fanno vedere
per rendere più intenso questo muto ardore nell’orto
Dove andare oggi?
Entra in camera mia madre
si siede
e mi fissa d’uno sguardo muto
Io lascio il libro, esco di casa
Sull’orlo dei campi tra alberi neri
un rosso sole appeso morto
Io mi fermo in mezzo alla strada
e a viva forza
lancio un grido
Spegnemmo la lampada gialla
Un manto azzurro cadde intorno al tuo corpo
Fuori frusciano nubi e alberi
Fuori volano pesanti bianche ali
Il mio corpo steso ai tuoi piedi
Le mie mani si torcono bramano pregano
Cara, lascia la pesante tua chioma
nella notte sventolare, sventolare
Nella notte
la chioma della mia cara mormora fonda
come il mare
(LE METAMORFOSI, 1920)
La morte non è fuori di me. È in me
fin dai primordi: con me cresce
in ogni istante
Un giorno
io mi fermo
e lei cresce oltre
in me finché non mi attraversi tutto
e arrivi sul mio orlo. La mia fine
è il suo vero inizio:
quando regna oltre sola.
(1921)
Noi ci siamo incontrati sulla stella che si chiama Terra. Il nostro cammino attraverso il tempo in quest’istante (istante lucente come una meta) sta dietro di noi lontano, infinito quasi, sicché abbiamo scordato ormai l’inizio dal quale eravamo partiti.
Ora la mano sta nella mano, lo sguardo nello sguardo. Attraverso le nostre mani e i nostri sguardi le nostre anime si sono abbracciate.
Oh quando ci saremo divisi per riprendere i nostri cammini bui attraverso l’infinito, su quale stella di nuovo c’incontreremo?
Tremeranno di nuovo le nostre anime al prossimo incontro al ricordo buio d’essere stati noi una volta esseri umani che si amarono su una stella chiamata Terra?
(1921)
Da tempo la mia carne si schermisce
dal sole, mia perdizione
Il sole vivificante
me infermo con l’esecuzione atterrisce
Se mi espongo, sull’istante
mi abbatterà con un unico raggio
Cadrò senza grido sulla mia stessa ombra.
(1925)
Eccomi tutto sopraffatto dal peso
Come funi di trazione con argano, appena sposto le membra
Eccomi tutto sopraffatto dal caldo
Raffreddarmi non potrebbe che la terra fredda.
E la voce m’appassì nella secca gola
Mai più potrò udirla con l’orecchio.
Per sempre cedetti alla gravità il mio tronco
e le penose membra
Il corpo rovente scalda l’aria intorno
con l’irruenza di luglio.
Nell’angoscia, senza voce ardo
Restituisco al sole quanto mi fu dato.
(1925)
(POESIE, 1950)